Milano. 12 Marzo 2011. In Largo Cairoli, davanti al Castello Sforzesco vedo parcheggiato in mezzo alla strada un grande camioncino aperto su un lato e completamente ricoperto di bandiere italiane e striscioni con sopra scritto “W la Costituzione”. Nei giorni in cui tutta la stampa si occupa dell’apocalittica tragedia giapponese non c’è molto spazio per tutto il resto. Per cui passo davanti a quel camion vuoto e non capisco nulla di cosa ci faccia lì, protetto da tutta quella Polizia e solo quattro o cinque persone attorno.
Ritorno nello stesso luogo un’ora dopo. Il camioncino ora è circondato da un mare di persone di tutte le età, chi ha in mano la Costituzione, chi sventola la bandiera italiana. Non posso far altro che chiedere cosa stia accadendo. Mi risponde un signore anziano, sulla novantina credo e mi dice: “Siamo in piazza per difendere la Costituzione italiana che noi abbiamo scritto e che vorremo lasciare come nostra eredità a voi giovani”. Ho subito capito una cosa. La Costituzione non è una Legge, non è un libro, non è un insieme di belle parole e di buoni propositi. Quel testo è un testamento. Il testamento di chi ha conosciuto il buio della guerra e della mancanza di libertà e ha voluto costruire un testo sul quale fondare un nuovo Stato che avesse la libertà come principio guida (libertà, parola di cui troppe formazioni politiche si vogliono appropriare!). Un testamento scritto tanto dalla destra che dalla sinistra. Un testamento che quindi appartiene a tutti.
La mia esperienza milanese mi ha inoltre suggerito un'altra riflessione. Che cos’è veramente la Democrazia per tutti coloro che non verranno mai eletti come rappresentanti di altre persone? Che cos’è per me la democrazia che ancora devo comprendere a fondo come funziona il mondo?
Ho letto tanti testi su che cosa sia la Democrazia, alcuni scritti da Tucidide millenni fa, altri scritti pochi anni fa. Testi molto belli ma di cui non ho mai compreso la natura profonda. Ma quel furgoncino parcheggiato ieri in Largo Cairoli mi ha fatto riflettere. Forse ho capito mi sono detto. La Democrazia è un furgoncino parcheggiato in mezzo a una strada su cui in tanti possono salire per esprimere la loro idea e in tanti possono riunirsi nelle sue vicinanze per ascoltare quello che si dice. Questo deve essere la Democrazia.
C’è un però. Questa pare essere Democrazia ma è vera Democrazia? Le persone che salgono sul palco devono urlare per farsi sentire da tutti. I ragionamenti pertanto non possono essere molto articolati. Inoltre la gente è in piedi e il cervello è in parte occupato dal mantenere la propria posizione tra la folla. Pertanto a strappare gli applausi non è sempre chi propone il ragionamento più robusto, ma chi urla di più, chi è in grado di condire con le parole più dure il proprio discorso. Il ragionamento complesso, quello che permette realmente di comprendere come funziona la realtà, non viene dalla piazza.
È evidente quindi che chi va in piazza è chi è già a conoscenza di quei problemi, di chi è già consapevole delle problematiche dei nostri tempi. Le folle delle piazze quindi non cambiano nulla mi dico. Anche nel Nord Africa le popolazioni che si ribellano non sono guidate da una precisa idea di futuro o di futura società, ma semplicemente dalla rabbia per una libertà a loro negata. Non è detto che questa rabbia porti necessariamente a qualcosa di migliore. Certamente qualcosa di diverso ma cosa ancora non è dato saperlo con esattezza.
E torniamo così alla piazza milanese. È quella una vera espressione di democrazia quel furgoncino parcheggiato? Può quell’anziano signore che mi ha spiegato il perché di quella manifestazione davvero difendere la Costituzione per cui ha combattuto semplicemente stando in una piazza?
Ho trovato la mia personale risposta a queste domande nei testi di due grandissimi italiani che bene avevano compreso la nostra società. Il primo è Giorgio Gaber. Nella sua celeberrima canzone-poesia dal titolo La libertà ripete “la libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.
L’altra risposta l’ho trovata negli scritti giovanili di Antonio Gramsci che scrive a soli 26 anni su Città Futura “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.[…] Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
Allora sì. Anche un furgoncino parcheggiato in Largo Cairoli è Democrazia. E la bella Costituzione repubblicana che abbiamo ereditato è la garanzia che molti furgoncini come quello di Largo Cairoli possano essere parcheggiati in tutta Italia. (Denis Grasso)