Sasso Marconi. Animali selvatici a due passi da Bologna. Non è uno scoop di cronaca, ma la presentazione di una realtà che da anni recupera e ospita animali selvatici autoctoni e specie esotiche importate illegalmente in Italia per scopi di lucro, divertimento, spettacolo e sfruttamento. Parliamo del “Centro tutela e ricerca fauna esotica e selvatica” di Monte Adone. Nato nel 1989 per l'iniziativa di Rudi Berti, che poi lo dirigerà, della sua famiglia e di un piccolo gruppo di volontari, si trattava allora di una iniziativa pionieristica, affidata quasi completamente alla forte volontà dei fondatori, ma concretamente sorretta dall'aumentare quotidiano delle richieste di intervento.
E proprio nello stesso 1989 che, completamente fuori programma, inizia la storia del rapporto con la fauna esotica e della detenzione di animali pericolosi, un'attività molto più complessa e articolata, che vede attivato come primo in Italia, un centro per il recupero di animali originari di altri paesi, importati perlopiù illegalmente per lucro, divertimento, spettacolo e sfruttamento di vario genere.
Nel 1994 l'accordo tra la famiglia Berti e i volontari impegnati, permette di arrivare alla fondazione dell'associazione “Centro tutela e ricerca fauna esotica e selvatica – Monte Adone” come punto di riferimento stabile per cittadini, enti pubblici, Forze di Polizia e Vigili del fuoco, per l'intervento di emergenza in aiuto degli animali selvatici ed esotici in difficoltà e per l'eventuale loro ricovero.
Il Centro ha sede alle falde del Monte Adone in una tenuta agricola immersa nel verde dell'Oasi naturale del Contrafforte Pliocenico; dalla stessa sede parte il servizio di pronto intervento di emergenza che è attivo 24 ore su 24 per l'intervento diretto nel recupero e nel soccorso di animali feriti o in difficoltà.
Il Centro ha saputo costruire negli anni una rete di relazioni che include il versante accademico, attraverso convenzioni e progetti di ricerca allacciati con numerose Università, quali per esempio quelle di Bologna (Facoltà di Scienze della formazione, Scienze biologiche e Scienze naturali), Università di Modena, Parma, Milano, Torino e Firenze, anche per lo svolgimento di tirocini formativi e stage nonché la realizzazione di tesi di laurea.
Tigri, un leopardo africano, la leonessa Sissi, iguana e tartarughe. Ma anche caprioli, falchi, civette. Persino una lince di nome Isidoro, reduce da una lunga coabitazione coatta con alcuni cani. In totale, circa 300 animali “alloggiati”. Muovendo dall’esigenza di porre un piccolo ma eroico argine agli effetti spesso nefasti dell’eccessiva antropizzazione del territorio, delle lacune amministrative e di un senso comune che troppo spesso difetta sul fronte ambientale. E non si tratta certo di un’isolata battaglia animalista per sanare le ferite, riconfigurare la dignità – lesa – dell’animale, prospettare – sempre se possibile – vie di fuga dalla cattività e ritorno nell’habitat naturale. Occorre infatti ricordare che legge, oltre a tutelare gli animali selvatici e a punire con severità chi non li rispetta, invita a contattare, in caso di ritrovamento, l’amministrazione provinciale o i centri di recupero della fauna. E qui alle falde del Monte Adone c’è un team intergenerazionale attivo 24 ore su 24, con persone preparate e con tonnellate di abnegazione per la causa “animale”. Ma anche con un’originale caratterizzazione – ormai competenza – su individui di specie esotiche che vengono irresponsabilmente allevati – o sfruttati a scopi commerciali – all’interno di inadatti contesti urbani. Una specializzazione che fa della struttura bolognese un unicum a livello nazionale.

I volontari
Un Centro che funziona innanzitutto grazie ai volontari, ovviamente. La spina dorsale dell’organizzazione. Persone disposte a sacrificarsi per una causa dando disponibilità di tempo e di energia, pronte a sporcarsi le mani senza lasciarsi paralizzare e coinvolgere emotivamente dal singolo episodio. Età minima 20 anni. Tre settimane di tirocinio affiancati da un responsabile o da un volontario esperto per apprendere mansioni, esigenze delle diverse specie, norme di sicurezza da osservare. Poi comincia il lavoro “sul campo”: alimentazione, cura e pulizia degli animali, costruzione di nuovi ricoveri, recupero della fauna vittima di incidenti. Un’esperienza totalizzante, gratificante e parecchio faticosa. Fino a 8-10 ore nel corso di una giornata.

L'attività

Un’attività tanto gratificante quanto delicata, quella dei volontari del Centro: da una parte, l’occhio dell’osservatore esterno si sofferma facilmente su aspetti quasi idilliaci (cornice naturale, un cucciolo da salvare, la sensazione di contribuire concretamente alla tutela della biodiversità e alla conservazione dell’ecosistema); dall’altra, è bene sgomberare subito il campo da eccessive semplificazioni che facilmente sedurrebbero coscienze ecologiche in formazione, o comunque persone sensibili e allo stesso tempo piene di entusiasmo. Perché darsi da fare per un Centro come questo comporta spirito di sacrificio e dedizione. Tanto per catturare subito l’essenza dell’attività, l’arrivo di un animale nella struttura immersa nell’Oasi naturale del Contrafforte Pliocenico si traduce nella predisposizione immediata di strumenti, persone, percorsi di cura. E quindi tanto lavoro, con diverse criticità da considerare a seconda dell’emergenza e dell’animale.
Se si tratta di fauna selvatica, occorre subito separare esemplari feriti e piccoli da svezzare. Nel primo caso, decisive sono chiaramente tempestività e precisione della diagnosi, oltre ad eventuali lastre specialmente in caso di incidenti stradali (che coinvolgono soprattutto caprioli). Poi, si tratta di decidere cure e terapie necessarie. Per i piccoli da svezzare – in particolare uccelli, ricci, ghiri, scoiattoli – la prima cosa da fare è stabilire la dieta più appropriata in base all’età e alla condizione dell’animale, fissando il numero dei pasti da somministrare.
Ci sono poi piccoli di capriolo rimasti feriti inavvertitamente durante il taglio del fieno perché istintivamente si sono nascosti schiacciandosi sul terreno invece che scappare. Oppure quelli che sono stati incautamente raccolti da persone di buona volontà ma scarsa dimestichezza che li credono abbandonati dalla madre. A maggio e giugno parchi, aree protette e boschi si popolano di cuccioli di riccetti, leprotti, caprioli. Capita, nel corso di un’escursione o a volte semplicemente guidando su strade limitrofe di imbattersi in piccoli apparentemente abbandonati, quando in realtà la madre gravita nei paraggi. In particolare succede con i caprioli, che nelle prime 3 settimane di vita non sono ancora in grado di seguire la madre. Con la voglia di aiutarli, si fa qualcosa di estremamente dannoso: una volta toccati da mano umana, i cuccioli avranno un odore diverso, e la mamma non li “riconoscerà” più. Sono soprattutto i cuccioli dei cervidi ad adottare come strategia difensiva verso i predatori la capacità di stare immobili e l'assenza di odore. Ecco quindi un consiglio: se un animale è veramente in difficoltà, portarlo nel più breve tempo possibile al Cras più vicino (o ad un Centro di fauna selvatica, per l’appunto). Nel dubbio, telefonare al Cras prima di raccogliere l’animale e farsi consigliare. Meglio comunque utilizzare sempre i guanti, meglio ancora se sporcati di terra ed erba.
Per capire la portata del problema, basti pensare che quest’anno la struttura di Monte Adone ospita 25 esemplari “estromessi” accidentalmente dalle normali relazioni madre-figlio (o sottratti in buona fede alla vista della madre stessa), tra cui due dainetti. Per loro diventa obbligatorio essere allevati con l’ausilio della cosiddetta “mamma artificiale”, un metodo per evitare l’imprinting che si produrrebbe nel cucciolo alla vista di una persona in carne e ossa. Rischio da evitare per non minarne il percorso di emancipazione e indipendenza. Ecco quindi il progetto di svezzamento per i caprioletti allevati in cattività, incentrato sull’utilizzo di una sagoma imbalsamata di capriolo (ideata in collaborazione con il dottor Riccardo Fontana e utilizzata ormai da dieci anni) che consente di limitare il più possibile la vista dell’uomo. Cosa vuol dire in termini pratici supplire all’allattamento materno? Un impegno che per un capriolo di 2-3 giorni di vita si traduce nel suo allattamento ogni 3 ore.
Forte anche la rappresentanza dei rapaci, che rappresentano il 15% dei “ricoverati” del Centro. Le cause? Incidenti stradali e ferite da arma da fuoco, intossicazioni e avvelenamenti, fino a folgorazioni. Spesso poiane e gheppi, falchi e civette, gufi e allocchi hanno bisogno di interventi chirurgici ortopedici. Segue la degenza in ampie voliere, la premessa per tornare al cielo e alla libertà.

Gli altri centri

Altri Centri simili in regione? Il Centro fauna selvatica “Il Pettirosso” di Modena, per esempio. Oppure il Centro recupero fauna selvatica Garzaia di Codigoro, nel ferrarese, presso la Sezione Wwf. Operano al servizio dei piccoli amici bisognosi di aiuto anche il Centro recupero animali selvatici di Rimini presso la sede del Wwf, il Centro recupero animali selvatici Astore di Faenza, il Centro recupero animali selvatici Casa Rossa di Sala Baganza, nel parmense. A Ferrara c’è il Centro recupero animali selvatici Giardino delle Capinere, mentre a Salsomaggiore Terme (Pr) opera il Centro recupero animali selvatici “Le Civette”. E se a Bologna sono attivi anche i volontari del Centro recupero fauna selvatica di via delle Tofane, a Ravenna c’è il Centro recupero selvatici San Marco.

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