Imola. Non sono un’esperta, ma una semplice cittadina, il che mi qualifica a fare alcune riflessioni. In questi giorni in Italia si sono svolti Festival ed eventi dedicati alla Città. Architetti, filosofi, esperti di paesaggio si sono incontrati, hanno allargato la consapevolezza e la visione dei loro saperi coinvolgendo gli enti locali.
In Piemonte, al “Festival del paesaggio agrario – Il governo del territorio, tra tradizione e innovazione” (www.festivalpaesaggioagrario.it), docenti di Estetica, di Economia agraria, antropologi, giovani laureati hanno portato il loro contributo. Vorrei riassumere le riflessioni che emergono: “Indossare il Paesaggio come un abito su misura”, “Un orizzonte visivo gradevole permette di scorgere le relazioni della vita umana”, “la Convenzione europea del paesaggio (Cep) risalta la visione originale del rapporto fra le cose per ritrovare il significato dell’esistenza: abito dunque sono”, “Non c’è qualità senza il coinvolgimento degli abitanti: mi riconosco e ho il mio ruolo in un luogo”, “La politica deve giocare il suo ruolo incisivo: entrare nei luoghi e cogliere le attese degli abitanti, deve proporre l’orizzonte del gusto e della qualità della vita”. Sono queste alcune delle frasi che emergono dalle voci di esperti.
E ancora: leggo il resoconto del Festival nazionale dell’architettura “Festarch PerugiAssisi”, ideatore e curatore Stefano Boeri, (www.abitare.it/festarch), che propone il tema della “Città e Anticittà”. “L’Anticittà funziona come un fiume carsico e scorre nelle vene delle nostre comunità urbane e sfugge alle distinzioni e alle denominazioni. L’Anticittà lavora come una forma di frammentazione della società, e proprio oggi che sembra consumare il proprio trionfo monoculturale, i cittadini ritornano ad abitare le piazze, non solo votati alla protesta e all’indignazione ma per ‘fare città’ in una nuova stagione di partecipazione. Oggi in Italia soffia il vento della città-mondo, città spesso più avanzate delle stesse politiche. Solo una politica libera dal disfattismo e dall’autolesionismo può essere all’altezza delle nostre città-mondo. Costruire progetti collettivi per Cambiare Paese, restando in Italia”. Questo il bellissimo titolo dell’incontro conclusivo di Festarch.
Ancora una. Ad un recente e affollato convegno a Mestre per ricordare l’autore di “Convivialità”, il prete austriaco Ivan Illich, si legge: “Riconoscere il valore dei piccoli gruppi. Quando i fini vincono sui mezzi distruggono l’ambiente e i nostri rapporti, infettano la nostra stessa psiche: occorre in questi tempi reinventare la convivialità, tornare al senso e alla pratica dei limiti, in difesa dei valori primi dell’esistenza. Sta nelle poche manciate di donne e uomini di buona volontà, incerti e dubbiosi quanto onesti con se stessi, cercare, andare avanti, interrogarsi: come riuscire a non seguire la china, a liberarsi della cultura della menzogna di quest’epoca? Come non contribuire all’affermazione del contrario di ciò in cui crediamo?”. Il testo è del 1973. Perché si ricorda oggi questo autore e un sacco di gente va ad ascoltare? Ce lo vogliamo chiedere? Perché questi incontri e dibattiti a fine maggio 2011?
Ultimissima. Leggo sull’Unità del 4 giugno: “Pisapia a Milano avrà da affrontare il problema della politica edilizia come punto cardine. Abbiamo avuto sette anni di boom edilizio speculativo, che non ha scalfito l’emergenza-casa per anziani, giovani, coppie, immigrati. In tre regioni, Lombardia – Veneto – Emilia, si è costruito in maniera forsennata, con consumi spaventosi di suolo agricolo, fino ad insidiare i parchi, con quote di invenduto ovunque, con tanti capannoni, grattacieli orrendi a costipare le strade. Vogliamo andare avanti cosi? La risposta della sinistra, siccome è una balla che sinistra e destra su urbanistica, immigrazione, servizi socio-culturali siano la stessa cosa, la risposta deve essere: recupero/restauro dell’esistente, gestione trasparente del territorio pubblico, consumo di suolo vicino allo zero”.
Mi chiedo e mi rispondo: qui a Imola siamo in sintonia con questa linea politica? No o solo in parte.
Se mi avete letto fin qui, vi chiedo: cercando il senso di queste frasi, intense, antiche, nuove, non sentite qualcosa di sano e bello che vibra in tutto il corpo? O solo io nel leggere queste parole drizzo le antenne? Solo io, io con i miei figli e gli amici dei miei figli all’estero, una generazioni di teste intelligenti e pensanti che cercano altrove quello che manca nel nostro Paese, solo io, qui a tenere duro anche per loro, solo io, mi chiedo, a leggere quattro semplici parole “Cambiare Paese, restando in Italia” mi commuovo e mi vien voglia di rivoltare questo paese come un calzettino? Solo io e la mia amica Silvia? (Roberta Giacometti)
“Cambiare Paese, restando in Italia”
