Venerdì 24 giugno parto con Rosanna, Teresita e Andrea per il convegno nazionale dei “Gruppi di acquisto solidale”. Quest’anno si tiene all’Aquila. La scelta del luogo non è casuale: c’è la volontà di fare conoscere la situazione che si vive in quell’area, dopo che i mass media hanno spento i riflettori. In autostrada a mano a mano che ci avviciniamo al capoluogo abruzzese, notiamo che ci sono alcune case lesionate affiancate ad edifici nuovi dai colori appariscenti. Arriviamo al nostro Bed & Breakfast a Coppito verso le otto di sera. Non è stato facile trovare una sistemazione nell’area: le strutture alberghiere si sono fortemente ridotte dopo il terremoto. Coppito è una frazione dell’Aquila a 5 km dalla città. Il terremoto è stato abbastanza clemente qui, le lesioni si trovano soprattutto sulle case degli anni ‘50-‘60, come ci fa notare il nostro Andrea che è geometra. Il nucleo storico ha invece retto bene all’urto perché è stato costruito sulla roccia, anche se qualche casa è puntellata. La vita sembra normale con gente seduta ai tavoli del piccolo bar che si affaccia sulla piazza principale. Dopo aver cenato con l’ottima pizza di Teresita, decidiamo di recarci al convegno, che si svolge nel parco della basilica di Collemaggio a due passi dal centro dell’Aquila. Ci accorgiamo che il navigatore satellitare, la “signorina” come l’abbiamo ribattezzata noi, è inattendibile, perché aggiornato al 2007 e la viabilità, dopo il terremoto, è parecchio cambiata. Ben presto sbagliamo strada e ci ritroviamo in un luogo sconosciuto e inesistente per la “nostra signorina” pieno di nuovi condomini dai colori accesi, molto lontani dal centro. Sono alcune delle nuove case che sono state assegnate agli aquilani. Sono singolari: poggiano su piloni scoperti, fra i quali vengono parcheggiate le auto. Non ci sono né attività commerciali né strutture ricreative, all’apparenza è solo un quartiere dormitorio, in seguito ci renderemo conto che ce ne sono parecchi come questo sparpagliati qua e là intorno alla città.

Il tessuto sociale
Incominciamo a capire quello che gli aquilani intendono per “frammentazione del tessuto sociale”, sono stati “deportati” fuori dalla loro città, in quartieri anonimi e staccati da ogni contesto, con operazioni calate dall’alto non dovute solo alla contingenza di dare immediatamente un alloggio ma anche ad interessi economici occulti e poco puliti. D’altronde tutti ricordiamo le intercettazioni degli imprenditori che ridevano nel letto dopo il terremoto pensando ai soldi che potevano ricavare. Riprendiamo il nostro viaggio e finalmente entriamo all’Aquila. Mentre cerchiamo la basilica di Collemaggio ci meravigliamo di vedere casette e villette fortemente lesionate con calcinacci ancora non raccolti, porte aperte, incuria nella pulizia e manutenzione delle strade. Non c’è quasi nessuno in giro, eppure è venerdì sera. In uno dei rari bar aperti chiediamo informazioni per trovare la basilica ad un gruppo di persone. Finalmente arriviamo al convegno, dove troviamo la gente, ma sono tutti gasisti. Dopo una buona zuppa di “sagne” e fagioli preparata dai Gas abruzzesi, un bicchiere di vino, la musica, i balli e l’allegria che stridono con il vuoto e la desolazione che ci circonda, a notte ormai inoltrata torniamo a Coppito per dormire.
All’indomani ci rechiamo al convegno. Dedichiamo però dieci minuti del nostro tempo alla visita della basilica di Collemaggio. La bellissima facciata è intatta e non lascia presagire la distruzione al suo interno. Parte del tetto della basilica e la cupola sono infatti crollati durante il terremoto, ma i lavori qui sono stati celeri, il tetto è stato sistemato, manca solo la cupola coperta con una tettoia provvisoria di alluminio. Al convegno una signora del Gas dell’Aquila, con la voce rotta dalla commozione, ci parla delle difficoltà ma anche dell’orgoglio di aver portato i Gas in questa città. Un’altra gasista aquilana denuncia che le poche case restaurate, fuori comunque dal centro storico, sono state ristrutturate riportandole alla situazione originale, ma forse valeva la pena di creare qualcosa di nuovo dal punto di vista tecnologico ed ecologico: il tempo c’è ancora e l’Aquila potrebbe essere un laboratorio per tutta la nazione. Poi la mattina trascorre a parlare di economia solidale in tempi di crisi. Intanto ci iscriviamo ai vari gruppi di lavoro che incominciano alle tre del pomeriggio.

Collemaggio
Dopo il pranzo, decidiamo di dedicare un’ora alla visita del centro storico. Dalla basilica scendiamo per una strada che fiancheggia il grande terminal dei bus. Risaliamo fino alla porta d’ingresso della città, la cui volta è protetta da un’armatura di legno. Appena attraversata la porta, ci rendiamo conto che il passaggio è chiuso da transenne che riportano un cartello indicante che quella è una zona rossa, interdetta al pubblico: chi dovesse oltrepassarla commetterebbe un reato da codice penale. Oltre le transenne c’è anche una camionetta dell’esercito a controllare la zona. L’area è abbandonata a se stessa, nella strada lastricata è cresciuta l’erba, le case sono piene di impalcature e  tiranti. Solo una casa sembra essere in fase di ristrutturazione, perché con i cartelli di una ditta edile, ma comunque non c’è nessuno a lavorare. Torniamo indietro e nel tentativo di trovare una strada veloce per il centro passiamo dal terminal dei bus. Seduto su una panchina, solitario, troviamo un anziano a cui chiediamo la strada. Mi viene da chiedergli come si vive all’Aquila, mi risponde lapidario “amaramente”. Ci spiega che lui abitava vicino al centro, la sua casa è completamente inagibile e non ha speranza di ritornarci. Adesso vive a Bazzano, un quartiere dormitorio, e si reca ogni giorno all’Aquila, credo per mantenere un legame con la sua città, ma non oso chiederglielo perché piange. Mi sento in colpa, lo salutiamo e gli facciamo gli auguri.
Riprendiamo la strada per il centro. Passiamo per un bel viale alberato, ma i giardini sono incolti, l’erba alta ha invaso le panchine, i sanpietrini sono sparsi sulla strada, le cicche e carte sono abbandonate lì da chissà quanto tempo, le fermate dell’autobus sono state soppresse. Finalmente riusciamo ad arrivare al corso principale della città, fortunatamente è aperto, le transenne impediscono di avvicinarsi agli edifici, ma in mezzo alla strada si può passare. Davanti a noi, fermi a pattugliare, ci sono gli alpini con la camionetta militare. Tutto si è fermato a quel 6 aprile 2009 alle ore 3 e 32: una casa senza il tetto presenta sulla porta d’ingresso la scritta “affittasi”; il cinema “Imperiale” ha le locandine, ormai ingiallite, del film “Gli amici del bar margherita” con sopra la scritta “oggi”; l’Inps si vanta di produrre energia pulita sul proprio tetto, ma il display luminoso che riporta quanto sta producendo è spento; un negozio chiuso e dai muri crepati riporta il cartellino “torno subito”; sull’attico di una casa ci sono le piante ormai completamente secche. Una moderna civiltà è scomparsa, ed ha lasciato le tracce del suo passato. Quello che mi colpisce di più è un negozio di prodotti regionali, sembra che nessuno l’abbia più aperto dopo il terremoto: la vetrina, piena di polvere, ha degli ovetti pasquali accanto ad una bottiglia di vino rotta. A terra ci sono i prodotti caduti dagli scaffali durante la scossa. Chissà, forse il proprietario è morto. Ovunque oltre le transenne, le macerie rimangono a terra e nessuno le può toccare. Le strade laterali del corso sono tutte chiuse e interdette: zona rossa. Finalmente arriviamo alla piazza del duomo, almeno qui qualche attività economica è aperta: il bar del famoso torrone Nunziata, una gelateria, l’edicola. Sono piccoli segnali di speranza. Le due chiese sulla piazza sono in fase di ristrutturazione. Nella piazza c’è un mercato, ma non c’è gente. Hanno montato anche un palco, forse ci sarà una festa. Sono in bella mostra una moto Bmv e una Lamborghini in dotazione alla Polizia. C’è anche un corso di guida sicura, ma non credo che sia il problema principale qui a l’Aquila. Tutto mi pare molto grottesco. Intanto si è fatto tardi, oltre le tre, nessuno di noi ha avuto il coraggio di recarsi al convegno, è passato in secondo piano. Decidiamo comunque di fare rientro, ma ci proponiamo di tornare in centro alle cinque: a quell’ora i Gas  hanno previsto un corteo musicale con partenza dal convegno. Partecipo al gruppo di lavoro, ma continuo a pensare a quello che ho visto e sono curioso di completare la mia visita. Alle cinque in punto il corteo musicale parte dalla basilica di Collemaggio, ci sono anche gli zampognari. Arriviamo in piazza duomo e i musicisti entrano nella fontana, un poliziotto scherza: gli vuole fare l’etilometro. La statua della fontana sembra fare la pipì, allora prendo in giro Teresita, sempre alla ricerca di un bagno. Andrea l’ha soprannominata “Teresebach”. Una signora ride alla battuta. Anche lei abitava in centro, la sua casa è inagibile e si è trasferita in periferia dalla sorella che fortunatamente non ha avuto lesioni nella sua abitazione. Pure lei è demoralizzata. Non capisce per quale motivo i lavori di ricostruzione non partano, dà la colpa al fatto che regione e comune, di diverso colore politico, non si mettono d’accordo. Pensa che siano stati buttati tanti soldi per mandare negli alberghi gli sfollati, quando, invece, si sarebbe potuto affittare appartamenti con costi più contenuti. Anche le spese per le impalcature degli edifici da abbattere sono inutili.Si domanda per quali motivi le case agibili non possano essere fruibili. Sono due anni che sono abbandonate a se stesse e senza manutenzioni, non possono fare altro che deteriorarsi. In effetti, notiamo che sui tetti cresce l’erba, addirittura degli arbusti. Salutiamo la signora. Realizziamo che il corteo ha proseguito senza di noi. Riprendiamo il nostro cammino da soli. Ogni tanto sulle transenne troviamo dei messaggi: c’è chi si lamenta della mancanza di lavoro, prospettive e futuro e organizza un’assemblea cittadina, c’è chi si offre come muratore, chi dice che tutti gli aquilani soffrono di crisi post-terremoto e per questo nessuno li capisce, chi conia il motto “Verba volant, Sisma manent”. Nella seconda parte del corso c’è un po’ più di gente, addirittura un bar alla moda che serve gli aperitivi a giovani eleganti. Una cartoleria ha riaperto in un edificio che sembra pericolante e la pubblicità dell’evento campeggia ancora come un avvenimento eccezionale. Quasi tutti gli edifici sono imbragati e puntellati. Mi accorgo che dentro le case dalle finestre con i vetri rotti spuntano delle travi, probabilmente nelle stanze sono stati creati degli scheletri che servono a tenere insieme i muri.  Arriviamo alla chiesa di San Bernardino che spicca sopra al colle dell’Aquila. La chiesa è in fase di ristrutturazione, almeno qui si lavora, e campeggia una grande gru rossa. Gli altri rientrano per la cena, ma io decido di visitare anche il castello spagnolo, poco distante. E’ una bella fortezza massiccia con il fossato. Ha pochi danni, i re spagnoli nel ‘500 l’hanno costruita bene. Provo a tornare indietro, ma smarrisco la strada e davanti al teatro comunale chiedo informazioni ad una signora con una bambina. Anche lei mi parla della situazione all’Aquila, ma finalmente ho trovato una persona arrabbiata e combattiva. Mi dice che Berlusconi ha ricostruito con i soldi del governo solo le scuole, le case sono state costruite grazie alle donazioni. Tante aziende edili che hanno lavorato all’Aquila sono state indagate per infiltrazioni mafiose. Si lamenta del fatto che non sono state ricostruite palestre, strutture per il tempo libero, non c’è nulla. E’ dispiaciuta, vorrebbe continuare a parlare ma deve accompagnare la figlia a teatro. Si allontana verso una struttura nuova rossa a fianco del teatro, un bell’edificio di fine ‘800, che è molto lesionato e inagibile. Dietro alle transenne noto il cartellone degli spettacoli: è quello del 2008/2009 e l’ultima rappresentazione è avvenuta il 5 aprile.
Rientro anch’io, ho fame e alle nove ho una riunione sul tema dell’energia. Dopo degli ottimi arrosticini e alla fine della riunione, torniamo a Coppito. In auto Rosanna mi racconta di un’allevatrice aquilana che per mesi non ha potuto vendere il suo latte e lo ha dovuto buttare via: nelle tendopoli militarizzate la protezione civile imponeva il latte della Parmalat.

Santo Stefano di Sessanio
Domenica mattina ci alziamo di buonora per andare a visitare Santo Stefano di Sessanio, siamo curiosi perché ne ha parlato Report tra le “goodnews”. In questo luogo un imprenditore lungimirante, Daniele Kilgrein, ha ristrutturato le vecchie case del borgo utilizzando accorgimenti tecnologici moderni ma nel rispetto del contesto storico-architettonico. Queste abitazioni sono diventate un albergo diffuso. Risultato: il terremoto non ha lesionato nessuna di queste case. I danni sono visibili solo in alcuni edifici, comunque pochi, non di proprietà dell’albergo e nell’antica torre medicea, che invece, purtroppo, è crollata quasi completamente. La ristrutturazione degli anni 70 aveva usato cemento armato nel cappello della torre, se fosse stato utilizzato del materiale più leggero, come il legno, probabilmente non sarebbe implosa.

Onna
Sulla strada del ritorno, casualmente ci imbattiamo nell’indicazione stradale per Onna, uno dei paesi più colpiti dal terremoto. Subito dopo il cartello della località, la strada è sbarrata e troviamo l’indicazione di zona rossa. Parcheggiamo l’auto davanti alle transenne e proseguiamo a piedi a sinistra per una strada non sbarrata. Qui le case sono state violentate dal terremoto. In un’abitazione nuova con la struttura in cemento armato le scale hanno retto, tutti i muri sono invece crollati rivelando gli interni con ancora il mobilio. Dietro alla casa tra le macerie scorgiamo i giochi dei bambini: un’altalena e un biliardino. In una casa vicina entriamo e troviamo ancora, semidistrutti, elettrodomestici, lampadari, una scarpa. Non capiamo come mai queste case siano accessibili e fuori dalla zona rossa. Poco più avanti in uno spiazzo vuoto tra case semidistrutte (la sensazione è che siano state bombardate)ci appare una scena surreale: un’anziana signora in mezzo alle rovine annaffia delle belle rose. Ci spiega, mentre col fazzoletto si asciuga il sudore dalla fronte e le lacrime dagli occhi, che lì c’era la sua casa e quello è il suo giardino, non se la sente di lasciare seccare le sue rose, per cui ogni giorno viene ad innaffiarle. Adesso abita in una casetta prefabbricata insieme agli altri abitanti di Onna. Lei lo definisce il “camping”. Mi fa anche l’elenco dei morti, in tutto 41 su circa 500 abitanti: qui sono morti i figli del giornalista, là è morta un’anziana che però stava ancora in salute, poco oltre un ragazzo di 26 anni a cui tutti volevamo bene. Anche lei è scoraggiata, all’inizio i vigili del fuoco tiravano via le macerie, ora si sono fermati, e questo lascia presagire una ricostruzione lontana dal venire. Mi congedo e vado a scattare alcune foto, mi rendo conto di essere finito nella zona rossa che da questa parte non è stata transennata, velocemente mi allontano prima di finire nei guai.
Torniamo a casa nel primo pomeriggio perché un amico di Andrea si sposa. Passeggiando con mio figlio per Imola, la mia città, mi rendo conto di continuare a guardare i muri dei palazzi come facevo all’Aquila. Solo ora riesco veramente a capire cosa sta provando quella povera gente. (Walter Ghiselli)

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