Imola. Siamo al collasso. La profonda crisi della peschicoltura sta mettendo in ginocchio un settore già da tempo duramente provato. A lanciare l’ennesimo grido di allarme sono i presidenti di Confagricoltura (Gianni Tosi), di Cia Imola (Massimo Pirazzoli) e di Copagri (Marco Alberghini): “La situazione non è più sostenibile, su 10 anni di funzionamento dell’Ocm, cioè delle norme europee che governano il settore, 5 sono stati di crisi per i produttori. Non si può più dare la colpa a congiunture ogni volta più sfortunate; è ora di darsi da fare e rendersi conto che così com’è il sistema non funziona e costruire una rete ed un sistema nuovo capace di valorizzare la produzione, ridurre i costi e responsabilizzare, in maniera forte, i soggetti chiamati a rappresentare ai vari livelli i produttori”.
Va assolutamente “affrontato e risolto il tema del sistema della rappresentanza del prodotto pesca sul mercato .- continuano i presidenti -. Qualcosa in questa Ocm non funziona ed è ora di affrontare l’argomento una volta per tutte”. Il rischio è che si arrivi all’abbattimento dei frutteti e conseguente perdita di occupazione e delle peculiarità e qualità delle produzioni: “E’ inderogabile una profonda riflessione del sistema che ruota intorno alla coltivazione della pesca partendo da una richiesta unitaria di modifica delle disposizioni e dei vincoli dettati dall’UE per il governo della produzione. Occorre aumentare ad almeno il 10% delle quantità di prodotto ritirabile in caso di crisi e determinare una soglia minima accettabile dei prezzi del ritiro al di sotto della quale non scendere. Non è più accettabile che le nostre pesche vengano pagate 20/30 centesimi al chilogrammo e vengano rivendute da 4 a 7 volte tanto al consumatore”
Confagricoltura Bologna, Cia Imola e Copagri chiedono poi una parità di condizione dei produttori all’interno della Ue: “I minori costi dei produttori spagnoli o nord africani, che producono tra l’altro con minori vincoli, consentono a questi di proporsi sul mercato con prezzi più bassi, prezzi sui quali poi trova un terreno fertile la speculazione dei gruppi più forti a discapito delle produzioni di qualità italiane. In questo ambito va stigmatizzata la posizione assunta dalla grande distribuzione di non condividere con il sistema ortofrutticolo italiano le scelte di qualità merceologica da farsi con la medesima intensità sia su quelle nazionali che su quelle internazionali, contribuendo in maniera determinante alla crisi dei frutticoltori italiani”.