Bologna. Alle Ogr si riparano treni enormi, ci sono infinite commesse di lavoro. Le Ogr raccolgono anche il lavoro proveniente da Rimini e Verona. Ma le Ogr chiuderanno nel 2012. Anzi, forse no. Nel 2014. Ogr è l’acronimo di “Officine grandi riparazioni”, una gigantesca fabbrica nel centro di Bologna, un area grande dodici ettari, sulla quale sorge tutto l’impianto per accettazione treni, smontaggio e ripristino a nuovo, con circa 65.000 metri coperti. L’azienda è delle Ferrovie e ci lavorano oltre 600 operai, 400 delle FS e oltre 200 di piccole aziende private all’interno degli stabilimenti. La notizia della chiusura arriva il 23 maggio del 2010 e in seguito a questa comunicazione le organizzazioni sindacali mettono in campo scioperi e manifestazioni, incontri e proteste. Incontriamo i delegati Rsu, Salvatore Fais, Silvano De Matteo, Marco Mari, per un breve riassunto del perché. Anche se tra le righe o tra gli sguardi, il vero motivo sembra essere diverso. Ma questo in sintesi: “Tutto questo fa parte di un ridimensionamento delle FS per regalare ai privati – dice Fais -. Le FS nel 1984, quando cominciò questa operazione, contavano circa 220.000 dipendenti. Oggi siamo in 84.000. Nel 2012 saranno sul mercato i treni di Montezemolo e Della Valle, vogliono tagliare la concorrenza delle FS”.
I motivi dichiarati
“In un documento ufficiale dell’azienda, si scrive che alle Ogr c’è un calo della manutenzione, poi però spostano qui a Bologna i lavori che sono previsti per Verona. Abbiamo treni bloccati perché ogni spazio qui è già pieno. Siamo al paradosso che in altre officine Ogr non c’è lavoro e qui siamo stracolmi – spiega Mari -. Allora ci devono dire perché portano qui il lavoro se vogliono chiudere”.
Azioni in campo
“Abbiamo incontrato nel 2010 Virginio Merola, che allora era assessore all’Urbanistica del Comune di Bologna, l’assessore ai Trasporti della regione Alfredo Peri, e tutti si schierarono dalla nostra parte, contro la chiusura delle Ogr”, spiega De Matteo. “Ma questa è un area che si trova tra i Prati di Caprara e una zona ex militare. Ci siamo mossi per denunciare una possibile speculazione dell’aera, e Merola, quando era assessore firmò un documento che dichiarava non edificabile quest’area”.
Una situazione che sembra nascondere ugualmente, nonostante le rassicurazioni, lo spettro della speculazione per tutti i soggetti in campo. Tranne che per i lavoratori. L’area infatti si trova vicino alla zona Ravone, a fianco di via Bovi Campeggi e la zona di Prati di Caprara che verrà bonificata e su un lato verrà costruito. In mezzo a queste aree appunto, si trovano le Ogr. Ma la loro chiusura sono anche un obiettivo dell’amministratore delegato Mauro Moretti, che, con questa operazione, toglierebbe di mezzo un grande impianto di manutenzione delle FS e affiderebbe inevitabilmente le commesse di lavoro ad aziende private o addirittura alle stesse aziende che metteranno in rotaia i treni privati. La chiusura delle Ogr sono appetibili per il Comune di Bologna, perchè una volta chiuse e abbandonate, come la Casaralta, potrebbe portare nelle casse comunali milioni e milioni di euro di oneri di urbanizzazione.
Passato il periodo estivo, le Rsu dovranno decidere quali altre azioni mettere in campo, visto che la data della chiusura è stata posticipata al 2014, ma assume certezze ineluttabili.
I silenzi delle Ogr
Qualunque sia il motivo della chiusura delle Ogr, che oggi hanno cambiato acronimo in Ocm, va detto che da queste parti regna il silenzio. Così come regna sul problema amianto. Un minerale cancerogeno che alle Ogr si è lavorato per decenni e che ha causato oltre duecento morti. Un silenzio che cade dopo gli ultimi morti di poche settimane fa. Così come cade il silenzio sulla destinazione dell’amianto rimosso dai treni negli anno settanta-ottanta. L’amianto rimosso dai treni, tra la fine degli anni’70 e i primi anni ’80, è stato sepolto nella discarica di San Lazzaro, quella conosciuta come “la montagna del rusco”, “nella quale – racconta un operaio delle Ogr – portavamo quintali di amianto in sacchi bianchi e li depositavamo nelle buche che l’azienda municipalizzata preparava ogni quindici giorni. Poi però ci passava sopra un caterpillar che schiacciava e rompeva i sacchi, facendo uscire la polvere, per farci stare più sacchi possibili. Oggi però non sappiamo se l’amianto sia ancora là sotto”. (Giuliano Bugani)