Venerdì 5 agosto, a mercati chiusi, l'agenzia di rating americana Standard & Poor's ha comunicato di aver provveduto ad abbassare il rating attribuito al debito sovrano statunitense declassandolo da tripla A a AA+. La decisione è stata presa giudicando insufficienti e poco incisive le misure di risanamento economico votate la scorsa settimana dal congresso americano contestualmente alla legge che innalza il limite legale del debito pubblico. Le altre due agenzie, Moody's e Fitch, hanno mantenuto la tripla A riconoscendo però un 'outlook' (cioè una previsione) negativo.
In termini di solvibilità non si rilevano particolari problemi: se la tripla A riconosce una affidabilità massima ad un emittente stimando entro lo 0,16% le probabilità di insolvenza nei cinque anni, il rating AA+ definisce come insignificanti le probabilità di insolvenza, che quantifica tra lo 0,16% e lo 0,60%, sempre entro cinque anni.
I detentori di treasuries (i famosi T-bond) possono continuare a dormire sonni tranquilli in quanto i rischi di non vedere corrisposti gli interessi e tantomeno rimborsato il capitale sono comunque irrisori.
Più difficile risulta valutare quello che sarà l'impatto sui mercati finanziari, sia azionari sia obbligazionari e il clima risulta decisamente incerto. Il downgrade è stato più volte minacciato nel corso delle ultime settimane e, malgrado il raggiungimento in extremis di un accordo che ha evitato il default tecnico degli Stati Uniti, molti commentatori lo ritenevano inevitabile. Nonostante questo gli investitori hanno continuato a ignorare le minacce dell'agenzia di rating e a comprare titoli di stato americani confidando nella solvibilità dell'amministrazione statunitense tanto che i rendimenti sui t-bond sono scesi ai minimi da gennaio 2009. Ritengo quindi che gli attuali prezzi incorporino già le conseguenze del downgrade, tuttavia è verosimile che nel corso delle prossime sedute assisteremo ad un aumento considerevole della volatilità. Il rischio reale che si corre è che, durante le contrattazioni sul mercato obbligazionario, venga a mancare la liquidità necessaria a mantenere uno spread denaro/lettera accettabile: in sostanza si corre il rischio che i fondi e gli investitori istituzionali che volessero (o dovessero) liquidare le posizioni detenute in titoli americani possano incontrare serie difficoltà per mancanza di compratori; una situazione non dissimile da quella che si verificò nel settembre 2008 in occasione del fallimento della Lehmann Brothers. In quei giorni il mercato dei bond bancari, in crisi di liquidità, rimase completamente bloccato per diverse sedute obbligando i cosidetti 'large traders' a liquidare le posizioni attive sul segmento azionario causando il ribasso che ancora tutti ricordiamo.
Se le banche centrali sapranno coordinarsi e fornire il sistema della necessaria liquidità questo rischio dovrebbe essere scongiurato. Resta comunque interessante cercare di capire come si muoveranno i mercati nel corso delle prossime settimane. L'ipotesi che ritengo più probabile è che gli investitori, una volta caduto il mito della 'tripla A' come massima garanzia di solvibilità, si rivolgano anche verso altri investimenti. In questo caso, anche in considerazione della relativa scarsità di emittenti con rating AAA, verrebbero favoriti emittenti che vantano buoni rapporti in termini di crescita del PIL e scarso indebitamento. E' il caso delle obbligazioni emesse dai paesi emergenti, sia in valuta locale, sia in dollari americani. Questi elementi appaiono di supporto anche per l’investimento in corporate europei. Del resto l’avvio della stagione d’incertezza e avversione al rischio sui mercati partita alla fine di aprile ha comunque confermato la forza relativa delle aziende private rispetto ai governi, traducendosi in un andamento positivo del settore corporate.
Le incertezze e i timori inerenti il debito pubblico, nel corso della scorsa settimana, si sono riversate pesantemente sulle piazze azionarie che hanno archiviato perdite spesso ingenti. Il quadro è aggravato da una situazione macro economica incerta tanto che molti analisti e commentatori gossip-side hanno dichiarato come imminente e inevitabile una ricaduta in recessione delle principali economie. In realtà se da un lato alcuni indicatori hanno fornito dati che inducono al pessimismo, dall'altro sono emersi dati che continuano a suggerire come lo scenario più probabile sia quello di un rallentamento di metà ciclo con una potenziale ripresa della crescita economica a partire dai prossimi trimestri.
Primi tra tutti l'indice JP Morgan “composito” di luglio rivela una ripresa dell'espansione economica globale superiore alle attese. Inoltre le aziende continuano a diffondere dati sugli utili in aumento rispetto al trimestre precedente. Tuttavia, il mercato azionario rimane caratterizzato da valutazioni leggermente superiori alla media e da una consistente predominanza dei venditori sui compratori; gli indicatori di trend sono impostati al ribasso su tutti gli orizzonti temporali e gli indicatori di partecipazione ci parlano di un mercato estremamente fragile. Ci si spiega così i cosidetti “vuoti d'aria” della scorsa settimana. Chi non tollera la volatilità potrà approfittare dei rimbalzi, che inevitabilmente seguono le fasi di ipervenduto come quella recente, per ridurre la propria esposizione verso gli investimenti rischiosi. Non vedo invece motivi di particolare preoccupazione per chi ha composto il proprio portafoglio rispettando una rigorosa pianificazione finanziaria e un profilo di rischio/rendimento tollerabile. (Piero Patuelli – labottegadellaconsulenza.blogspot.com)