Dopo tre anni di trattative per la Brexit pensavamo di averle viste tutte. Un Primo Ministro Inglese che vuol mettere a tacere il Parlamento (dove una maggioranza composita è ostile ad una Brexit no deal e tenta di fermarla con qualsiasi mezzo a sua disposizione), sino a congedarlo (per più di un mese) salvo essere clamorosamente stoppato e strigliato dall’Alta Corte di Giustizia Inglese, questa non si era ancora vista.

Boris Johnson ha una gran faccia tosta ma in questo caso ha superato se’ stesso quando ha parlato alla camera dei Comuni (in Parlamento) nel primo giorno della riapertura. Ha sostenuto che completare la Brexit avrebbe onorato la memoria di una Deputata laburista (J.Cox) che era stata uccisa col coltello da uno squilibrato durante l’ultima campagna elettorale; si noti che la signora Cox era contro la Brexit. La Camera e successivamente la stampa sono insorte contro di lui (anche accusandolo di fomentare violenza) ma non era  proprio quel che egli desiderava? Continua a sostenere che il Parlamento insistendo per un accordo con L’EU tradisce il paese “arrendendosi” all’Europa; lui invece neppure negozia sullo spinoso problema della frontiera fra Irlanda del Sud (che rimane parte della EU) e Irlanda del Nord, il cosidetto “backstop”.

Il Backstop richiede un mantenimento da parte dell’Irlanda del Nord (che fa parte del Regno Unito, ma non so per quanto ancora) delle regole della unione doganale europea, vi è la necessità di controllare le merci che passeranno questa frontiera  che al  momento è dal punto di vista doganale inesistente. Nell’accordo (respinto dal Parlamento Inglese) dell’Europa con Teresa May c’erano controlli doganali alla frontiera (invisi al partito dell’Irlanda del Nord-DUP-che sostiene il governo conservatore a Londra) ma l’ineffabile Boris riprende una precedente proposta di controllare le merci “altrove”, per esempio con accordi fra le ditte che fanno gli spostamenti o elettronicamente.

Sia la EU che Dublino (che teme gravi conseguenze economiche) hanno dichiarato improponibile la nuova/vecchia proposta. Si suggerisce che questo sia un piano che Boris sa bene l’Europa rifiuterà addossandosi così la responsabilità del no deal Brexit. La richiesta di prolungamento oltre il 31 ottobre (la festa precristiana delle streghe di Halloween) dovrebbe essere firmata dal Primo Ministro ma l’Europa fa sapere che non considera necessaria la firma di Boris. Rimane il rischio che uno solo dei paesi dell’Unione si rifiuti di approvare il prolungarsi della trattativa (in attesa di un nuovo governo laburista che si spera piu’ sensato, dopo le prossime elezioni politiche), questo provocherebbe un Brexit  no  deal.

Due elementi mi sembrano interessanti. Il primo è Il conflitto tra l’esecutivo e il Parlamento, rappresente la volontà. Boris dice di difendere la volontà del popolo che ha votato Brexit così come Trump ritiene di poter fare e dire quel che gli pare essendo stato eletto direttamente. Diversi soggetti con diverse volontà ritengono entrambi di interpretare le intenzioni dell’elettorato. La verità invece è che Boris è stato eletto dalla maggioranza degli iscritti al partito Conservatore,  con soli 92.000 voti. La pantomima di ergersi a difensore del popolo, avvocato del popolo e via discorrendo crea un eco positivo in persone che si sentono ignorate e abbandonate dalle classi al potere, tale reazione emotiva è il secondo elemento della strategia. Queste persone sono tante e (in un sistema bipartitico) hanno scoperto che votando ora l’uno ora l’altro partito ottenevano lo stesso risultato: quello di esserne delusi. Uno degli scopi principali di Boris e dell’establishment britannico è di mettere in difficoltà il Labour di Jeremy Corbin, un socialista (britannico) tutto d’un pezzo che vuole rinazionalizzare le ferrovie. Il vecchio è un politico navigato ma il tema della Brexit (sulla quale si mormora che sia lui che la Regina siano d’accordo) è spinoso poichè una parte importante degli elettori laburisti hanno votato per la Brexit . Boris lo ha accusato di temere le elezioni quando Corbin gli ha rifiutato I voti richiesti per andare alle elezioni: egli vuole che  il Parlamento resti aperto fino al 31.10 temendo colpi di mano da parte del brigante Boris se il Parlamento  venga sciolto prima di tale data, non vi è dubbio che lo sarà  poco dopo  e che entrambi i partiti sono in campagna elettorale.

In un contesto politico che cambia vorticosamente si palesa la (relativa) lentezza delle risposte di istituzioni politiche rappresentative ed il pericolo che tutti siano molto piu’ occupati da una campagna elettorale  permanente che dal governare, come si e’ visto recentemente in Italia.

Il persistente rallentamento del sistema produttivo nei principali paesi occidental ed i vistosi scricchiolii del sistema creditizio (le difficili condizioni incontrate dalle banche per ottenere credito a breve termine verificatesi in estate gia’ viste durante l’estate del 2008) sono difficili da ignorare . Oggi (3 ottobre 2019) per il terzo giorno gli indici delle principali borse hanno segnato perdite non trascurabili, fra l’uno e il due per cento ogni giorno. Oggi Wall Street ha recuperato ma solo per la speranza di una prossima diminuzione del tasso di sconto della Fed.

La crisi economica evitata dalla GB dopo il voto per la Brexit nel 2016 potrebbe materializzarsi ora, con elezioni politiche in arrivo, Boris Johnson è più preoccupato del suo elettorato che dell’Europa. Una Brexit  no deal permetterebbe di discutere i 40 e passa milliardi (alcune stime tuttavia parlano di quasi 100 miliardi) dovuti alla UE – o cosi lui dice -, musica per le orecchie degli elettori inglesi. Quel che lui non dice è che la Gran Bretagna perde consistenti contributi Europei (agricoltura, ricerca…) mentre continuerà a contribuire al Budget europeo fino al 2020 e che rifiutarsi di pagare contributi dovuti metterebbe in pericolo futuri accordi commerciali con l’Europa ancora da costruire.

Dove va la Gran Bretagna? A mio parere torna nell’impero marittimo globale che fondò nell’ottocento e che ora appartiene agli Stati Uniti ma, come il Canada e l’Australia, vi prenderà un ruolo secondario. La guerra (per ora) commerciale fra questo impero dei mari e diverse potenze “di terra” eurasiatiche (Cina, Iran, Europa e Russia) è già cominciata ma come sappiamo le guerre si iniziano facilmente, il problema è come concluderle: ci sono vittorie che si trasformano in sconfitte, specialmente se si inducono gli avversari ad allearsi.

(Cecilia Clementel)