Sognai talmente forte che mi sanguinò il naso. (De André, Sand Creek)

Non c’è.
L’ho cercata con cura, con trepidazione quasi.
Sulle pagine del giornali, tra le pieghe dei discorsi ufficiali.
Inutilmente.

Annunciata, attesa, la svolta sperata nel DEF non c’è.
Forse non poteva esserci, vista l’emergenza finanziaria che il Governo in carica ha ereditato, non solo da quello precedente, non solo dalla Lega.
Però si sapeva anche prima e tanto valeva risparmiarsi i proclami.
Anche questo sarebbe un modo per distinguersi da Salvini.
E dai grillini, che ogni giorno fanno la Storia, al punto che non sai più quale sia, visto che somiglia sempre più a una storiella.

Separare la verità dalla propaganda.
Non dico di eliminarla, che in politica è impossibile ma di riportarla entro i confini della decenza umana.
È una questione di sostenibilità.
Non minaccia la vita sul pianeta ma la qualità della nostra si.
Perché, per dirla con un dialettismo, “abbiamo la piena” di questo gioco di annunci.

Visto che la gente non riesce più a capire che razza di governi ha davanti, è invalsa l’abitudine dei partiti di definirli da sè.
Con un’enfasi innovativa che non trova riscontro nella realtà.
Perché le cose, a volte un po’ meglio, a volte, come nel caso del Governo uscente, un po’ peggio, continuano comunque ad andare maluccio.
Da molti anni a questa parte.
Durante i quali non si è fatta nessuna riforma importante.

Non lo fu il jobs act, con o senza art. 18, avrebbe potuto esserlo nell’ambizione quella storta ma non pericolosa bocciata da un referendum, non hanno nemmeno scalfito la superficie dei nostri problemi il reddito di cittadinanza, quota 100, tutta la ratatuglia legislativa più recente spacciata per rivoluzione.

E men che meno lo è quella roba al di là del bene e del male che consegna all’insignificanza di un taglio numerico la questione cruciale della funzionalità del sistema istituzionale integrato.
Che viene così sepolta per sempre.
Distratti come siamo non ci siamo accorti di essere governati da grandi riformatori.
Che dopo aver passato la mano sono ancor più prodighi di consigli.

“Se io fossi Principe o Governatore- ha scritto Rousseau ( Jean Jacques, non Casaleggio)- non perderei tempo adire quello che vorrei fare, lo farei”.
Qualcuno deve aver capito il contrario, perché quasi tutti gli indicatori socio-economici continuano a lampeggiare.
Senz’altra ragione che la nostra dabbenaggine, la nostra disorganizzazione, il nostro supponente vittimismo, la nostra insopportabile litigiosità dispiegata sul fronte del futile e del nulla.

L’austerità, invocata ad alibi delle nostre inadempienze civili, non è mai stata un impedimento al buongoverno.
Mentre il Pil cresceva del 40% la spesa pubblica aumentava di oltre il 60%.
A celebrarne l’improduttività e l’inefficacia, talvolta lo sconcio.
Non lo scrivo volentieri, in un pezzetto di quel tempo ho governato anch’io.

Mi perdonerete quindi se, ammaestrato dall’esperienza, non mi impicco alle formule, non mi appassiono alle narrazioni, non mi curo di chi tra MS e PD stia prevalendo all’interno del Governo ma piuttosto e solo di capire se l’opera sua giovi al Paese.
Quel che vediamo non fuga i dubbi.
Manifestarli non vuol dire essere dalla parte di Salvini, come sostengono i cretini di ogni età.
Sappiamo bene cosa abbiamo lasciato.
Quello che ancora non conosciamo è cosa abbiamo trovato.
Cosa ci riservi questo “male minore” messo su in tutta fretta per il nostro bene.
Cosa ci aspetti alla fine di una strada che fosse lastricata solo di buone intenzioni.

Il malessere dell’Italia non si cura spargendo pannicelli caldi un po’ ovunque.
Così facendo non si uccide il paziente, come si poteva temere, ma nemmeno lo si salva, si protrae solo l’agonia.
C’è da sperare che chi ha deciso di prendere in mano questa patata bollente ne sia cosciente e sappia quel che fa.
Il margine di manovra non è ampio come le perversioni polemiche di troppi Matteo vorrebbero far intendere.
È quella che Galbraith chiamava “tirannia delle circostanze” che, in questo caso, sono particolarmente ingenerose.
Dovendo scontare una congiuntura economica avversa e una sterilizzazione dell’IVA che si porta via quasi tutto.

Senza alcun ritorno politico, visto che si tratta di un beneficio non percepito, simile a una malattia non contratta, che dimentichi presto senza renderne merito ad alcuno.
La società non sopporta lunghe attese, specie se è provata da troppe delusioni.
Vuole risultati subito o almeno riuscire a vedere cosa c’è al di là dei sacrifici.
Vuole sapere dove vai, e da che parte stai.
In quel che fai, specie se è forzatamente poco, devi imprimere un segno, deve esserci l’espressione di un disegno.
Tutti nella vita ne abbiamo uno.
Lo dobbiamo avere.
Soprattutto un Governo nato per caso, con più timori che speranze, senza sostegno popolare.

L’economia ristagna.
L’impresa soffre.
L’evasione, grande e piccola, tracima oltre i 100 miliardi di euro.
La ricerca non è sostenuta.
L’innovazione è circoscritta.
La scuola è abbandonata.
La Pubblica Amministrazione, riformata più e più volte, è un atto d’accusa verso i riformatori.
Mancano medici negli ospedali.
“Un Paese a picco e a bassa produttività”, ha denunciato il Presidente degli industriali lombardi.
Dite bene, ci vorrebbe una svolta.
Ma serve coraggio.

Non si può fare qualcosa di nuovo se non si cambia qualcosa del vecchio che gli impedisce di nascere.
Qualcosa di sbagliato.
Come quota 100, che costa 20 miliardi, coi quali si potrebbe fare l’intervento più importante mai fatto sul punto più critico che c’è, per imprese e lavoratori: il cuneo fiscale.
Come le catene ideologiche che ci precludono l’uso di leve utili a cambiare gli equilibri.

Non c’è ragione per non ricorrere a un contributo patrimoniale equilibrato e selettivo per arrestare la dinamica mortale del debito pubblico.
Perfino la famigerata IVA potrebbe essere rimodulata senza danneggiare l’economia e ferire la giustizia.
Il peso di questi tabù, che segnano il passaggio dai valori culturali della sinistra ai dogmi della destra, condiziona l’azione di governo non meno delle limitazioni comunitarie imposte dal debito.

Il poco che c’è va concentrato.
Secondo un ordine di priorità rigoroso.
Per una buona causa si può ben litigare.
È di dispute miserabili che non abbiamo bisogno.
“Lo Stato che è amministrato meglio è senz’altro quello in cui detiene il potere chi meno lo desidera- scrive Platone nella “Repubblica”.
Quanti possono dire di trovarsi in questa condizione?

(Guido Tampieri)