Di una cosa occorre dare consenso alla “quasi” fu sindaca di Imola Sangiorgi: invece di consumare la propria disfatta, la mancanza di appoggi e di consenso all’interno di stanze quasi segrete, circondata da pochi fedelissimi, commossi abbracci e sconsolate alzate di spalle, ha scelto di presentarsi nella piazza della città e denunciare apertamente la propria incapacità nell’affrontare e, possibilmente, risolvere i non pochi problemi che affliggono la municipalità e nel mantener fede alle promesse elargite a piene mani in campagna elettorale.

Manuela Sangiorgi

Dunque il compito di “cambiare” la città di Imola, vessata, impoverita e spogliata da troppi anni di monotono predominio sinistroso, dall’occupazione di poltrone e di spazi esclusivamente riservate ai soliti noti e da errate scelte, dettate più che altro dalla ferrea volontà di conservazione del proprio potere si è rivelata più dura del previsto, più ostica, dilaniante. Eppure, a differenza di quanto è accaduto, sta accadendo e accadrà in quel di Roma, qui in città la maggioranza c’era tutta. Anzi, forse ce n’era troppa.

In verità, è venuto meno il difficile compito di saper ammettere le proprie mancanze, di aver posseduto la certezza di risolvere in poco tempo problemi incancreniti da anni e di non aver tenuto ferme (ben ferme) le solenni promesse fatte ai cittadini nel programma elettorale che l’aveva vista vittoriosa. Probabilmente, come sempre accade, è stato proprio quest’ultimo aspetto a determinare l’incrinatura quasi insanabile tra la novella sindaca e la città, il sentore cittadino, i suoi stessi compagni di avventura, di rinnovamento, di differenziazione. La vera differenza riscontrabile tra le precedenti amministrazioni e l’attuale penta – stellata è stata la “durata”: sono occorsi settant’anni agli imolesi per comprendere che la linea politica del Pd si stava discostando un po’ troppo da quella indicata da quegli uomini sporchi di fango e di macchie di sangue che scendevano dalle colline sopra la città, mentre sono stati sufficienti pochi mesi per intravvedere nell’attuale amministrazioni tutte le crepe dovute alla faciloneria, all’incapacità, alla presunzione, alla supponenza. D’altra parte al giorno d’oggi, i tempi delle evoluzioni si sono abbreviati alla guisa della riduzione delle distanze, all’aumento della velocità della comunicazione, alla complessità e alla concatenazione dei bisogni con le risorse.

Comunque ” Ei fu!”. Che nessuno abbia a gioirsene! La caduta del nemico non significa automaticamente la vittoria dell’altro contendente: mai, nella storia, il vincitore ha saputo correttamente scegliere tra il facile raccogliere profitto del vento favorevole del momento e il saggio sfruttare il valore longevo della vittoria, comprenderne il profondo significato, seguirne le indicazioni nel tempo. Sempre troppo facile irridere l’incapacità dell’altro e molto ardua la denuncia delle proprie inadempienze, della propria incapacità, delle proprie mancanze. Così, immancabilmente, le dondolanti teste degli sconfitti si rialzeranno, il coro di “ve l’avevamo detto” si farà incalzante, rispunteranno vecchi galletti oramai inabili nel tenere ben altra la cresta e incapaci di individuare e comprendere quelle che sono le vere esigenze e necessità degli imolesi del 2020, si riproporranno in tutta la loro conservazione con una nuova arma di forza dirompente: la prova tangibile della fragilità nel contendere con Loro. Mal ce ne incolga e così sarà.

(Mauro Magnani)