Imola. “Precari e precarie: una storia dell’Italia repubblicana” è il titolo del libro presentato nella serata di martedì 3 dicembre, con la presenza della ricercatrice Eloisa Betti che ha fornito spunto per un vivace ed interessante dibattito nella sala delle Stagioni di via Emilia 25. Unitamente alla Betti hanno partecipato al dibattito Mirella Collina (segretaria generale Cgil Imola) e Virna Gioelleri (Udi).
Impossibile, forse, individuare un tema di maggior stringente attualità che coinvolge milioni di lavoratori e lavoratrici,capace non solo di sollevare la dovuta attenzione, ma anche di cercare di individuarne le cause, le ragioni di tale situazione, le ricadute sulla socialità della nostra Nazione.
La professoressa Betti ha saputo estendere una precisa, dettagliata relazione relativa all’argomento, grazie alla sua preparazione alla sua non comune capacità di sintesi: siamo così venuti a conoscenza che il precariato nel mondo del lavoro, in Italia, fa la sua apparizione all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, anche se il termine “precarietà” viene utilizzato quando tale forma di lavoro inizia a “colpire” gli uomini. Non si pensi ad una forma di polemica, ma alla scoperta di una realtà facilmente riscontrabile dai dati presenti negli archivi, in quanto, da tempo non facilmente identificabile, la donna era soggetta a lavori “saltuari o legati a precise scadenze”.
Per comprendere la vastità del problema, da un punto di vista temporale ma anche della sua applicazione, si pensi che negli anni ’60 negli ospedali solo i primari erano lavoratori a tempo indeterminato, mentre tutti gli altri medici erano precari e che solo agli inizi degli anni ’90 il lavoro precario ha assunto la forma di processo risolutivo di ogni situazione aziendale, sia dal punto di vista di risoluzione di una situazione organizzativa, sia in presenza di problematiche di natura produttiva o di flessione di redditività aziendale. Al riguardo, nel dibattito che è seguito, non sono mancati gli interventi che hanno evidenziato il proliferare di tale fenomeno: la gestione organizzativa aziendale è sempre stata attenta all’ottenere la massima redditività anche a discapito del sacrificio dei lavoratori impegnati nella produzione. Ovviamente, ha puntualizzato la Betti, occorre differenziare l’insorgere di tale fenomeno, a seconda delle dimensioni aziendali, dell’età dei lavoratori/lavoratrici coinvolte e della dislocazione degli impianti industriali.
Un altro punto che ha sollevato segni di approvazione ma anche ulteriori momenti di dibattito è stato l’aspetto, prettamente politico, di adottare lo strumento della flessibilità o precarietà del lavoro nella pratica governativa: in pratica, quando ci si veniva (e si viene) a trovare difronte a problematiche aziendali di crisi produttiva, di restrizione del mercato o di flessione della disponibilità finanziaria, il ricorso alla flessibilità del lavoro è sistematica. Tradotto, si viene ad attuare la logica del “lavorare meno ma lavorare tutti”. A seguire, inevitabilmente, la problematica che vede la finanza pubblica in qualità di “supplente” della difficoltà gestionale dell’azienda, con vistoso aggravio dei conti dello Stato.
Per finire, altro dato riportato nella relazione della Betti, viene puntualizzato che a partire dagli anni ’80, la precarietà viene normata dai contratti nazionali di lavoro, mentre, per quanto riguarda il dibattito, molti dei presenti hanno evidenziato che, nella sala, la presenza dei giovani fosse assolutamente marginale, mentre la problematica vede proprio loro attori interessati al fenomeno di tale politica del lavoro .
Una serata decisamente interessante per l’importanza del problema, presentato e spiegato con precisione e profonda conoscenza dalla professoressa Betti: ci si augura di poterla ascoltare ancora per approfondire altri temi del lavoro e della socialità, temi che la Betti ha presentato e dibattuto in altre pubblicazioni e in molte importanti sedi Europee.
(Mauro Magnani)