In un mondo sempre più inquinato, la plastica è uno degli elementi che contribuisce a mettere a rischio la salute del Pianeta. L’economicità della plastica, la sua alta durabilità nel tempo e l’uso per i più svariati motivi porta alla produzione di grandissimi quantitativi, che, se dispersi nell’ambiente, creano problemi all’habitat di fauna e flora così come all’habitat antropizzato. L’inquinamento interessa l’aria, il suolo, i fiumi, i laghi e gli oceani.
Una grande percentuale di plastica prodotta ogni anno viene utilizzata una sola volta e poi gettata. Per l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti nel 2011 le plastiche costituivano oltre il 12% dei rifiuti solidi urbani. Negli anni sessanta, invece, erano meno dell’1%.
La plastica deteriorandosi dà vita a microparticelle che si disperdono nelle acque e nell’aria, entrando per le loro ridotte dimensioni nelle catene alimentari. Le microparticelle sono prodotte anche col lavaggio degli indumenti sintetici, con l’usura di pneumatici, col deterioramento delle vernici, con il lavaggio di prodotti estetici, ecc. Le plastiche alogene, a loro volta, rilasciano sostanze chimiche nocive al terreno circostante, che penetrano in profondità raggiungendo falde acquifere o altre fonti d’acqua. I danni sono molto seri per le specie viventi che bevono questa acqua inquinata.
Ma anche la plastica biodegradabile, se non smaltita nei modi corretti e abbandonata, è fonte di inquinamento, in particolare va ad alimentare il gas serra grazie alla predisposizione nel rilasciare metano.
Ce n’è abbastanza per iniziare, meglio tardi che mai, a favorire politiche attive per disincentivare l’uso dei prodotti plastici. Un primo passo è stato fatto anche dal governo italiano che ha vietato dal 1 gennaio 2019 la produzione e la vendita di cotton fioc non biodegradabili e le microplastiche nei cosmetici dal prossimo 1 gennaio 2020.
Altra idea in fase di elaborazione in molti paesi è l’introduzione di una plastica tax al fine di ridurre all’origine la produzione e l’utilizzo degli imballaggi in plastica non riciclabile e di limitarne così la diffusione.
Ci sono anche dei concorsi, con tanto di premi, per il riciclo mirato della plastica degli imballaggi. Ad esempio, il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo ed il recupero degli imballaggi in plastica” (Corepla) ha recentemente premiato ad Ecomondo, la fiera per l’innovazione industriale e tecnologica dell’economia circolare che si tiene ogni anno a Rimini, tre ricercatori.
La gravità del fenomeno impone però a ciascuno di noi dei correttivi nei nostri stili di vita. I grandi cambiamenti partono dai piccoli comportamenti. Ciascuno nella propria vita quotidiana deve fare delle scelte a cominciare dallo smaltimento corretto dei rifiuti, ma la cosa migliore sarebbe favorire l’uso di prodotti non inquinanti. Così come sarebbe importante che ciascuna attività commerciale indirizzasse e proponesse alla propria clientela l’utilizzo di borse in tessuto o carta.
Il vantaggio sarebbe duplice, da una parte si trasmetterebbe l’immagine di un’attività attenta all’ambiente e alla salute di tutti gli esseri viventi, dall’altra la borsa diventerebbe un veicolo promozionale.
Le borse in cotone, juta e carta possono essere personalizzate così da diventare un utile regalo aziendale, molto popolare nelle fiere e nei congressi, ma anche per qualsiasi attività commerciale da regalare ai propri clienti favorendo il riutilizzo ogni volta che si va per acquisti. Le shopper personalizzate sono un prodotto abbastanza economico ma con un ritorno positivo ed alto in termini di visibilità.
Abbiamo visto tutti le drammatiche immagini delle tartarughe marine trovate morte per avere ingerito materiale plastico, o per essere rimaste impigliate in materiale plastico. Secondo recenti stime sono circa 260 le specie, tra cui invertebrati, che sono state danneggiate dall’inquinamento causato dalla plastica. È stato stimato che oltre 400.000 mammiferi marini trovano la morte in questo modo negli oceani. Una ricerca condotta nel 2004 ha concluso che i gabbiani nel Mare del Nord hanno una media di trenta pezzi di plastica nel loro stomaco. Il rischio è anche lo squilibrio della catena alimentare: pesci e molluschi contaminati da plastica e inquinanti possono finire così sulle nostre tavole.
Un cambiamento dei nostri stili di vita non è, quindi, finalizzato solo alla protezione della fauna e della flora, ma anche e soprattutto a favorire la salute di tutto il genere umano.