Incoronato dal successo del proprio partito Tories alle elezioni britanniche, “re” Boris Johnson deve però fare i conti con una corona di “spine” dovuta alla distanza che stanno prendendo gli europeisti di Edimburgo e Belfast, perché la volontà popolare cattolica è stata infiammata dal successo elettorale dei nazionalisti di Scozia e soprattutto in Ulster, che ambisce a riunificarsi con l’Irlanda, ed ha rialzato la testa su pretese secessioniste, offuscando così il trionfo conservatore del biondo premier.

Boris Johnson (Foto Wikipedia)

L’adesione alla Comunità Europea fu proposta dopo il conflitto mondiale da Churchill e poi dalla Thatcher nel referendum del 1975 perchè allora Londra doveva presidiare un continente europeo che era area di influenza degli odiati franco-tedeschi, ora i tempi sono cambiati ed in base al referendum del 2016 la maggioranza dei sudditi di Sua Maestà ha scelto Brexit, abbandonando (dopo 47 anni) l’Europa al suo destino; si ipotizzano all’oggi solo accordi di libero scambio sul modello canadese ma soprattutto interessano i rapporti d’oltreoceano con gli Usa, tenendosi stretti i capitali arabi già di casa e “virando” così da partner puntuale ed affidabile ad acerrimo concorrente in una sorta di ideale “Singapore” sul Tamigi.

“Get Brexit Done” è stato lo slogan della campagna elettorale di Johnson raccolto in massa dalla (larga) maggioranza degli elettori, che gli ha così dato mandato di onorare appieno la promessa di realizzare Brexit in tempi rapidi ossia entro il prossimo 31 gennaio, negoziando con Bruxelles dal 31 gennaio al 31 dicembre 2020 i futuri rapporti fra i due blocchi.

L’uscita di Londra dall’Europa è nata dall’atavico e mai sopito risentimento britannico sulla propria “cessione di sovranità” nei riguardi delle politiche continentali, complice anche l’ondata migratoria dai Paesi dell’Est, che negli anni hanno fatto traboccare un vaso già colmo in una alchimia di malumori e disagi “very british” che ha poi portato al risultato del referendum 2016.

Per una Brexit certa una disgregazione del Regno Unito che è vista dietro l’angolo, perché la convivenza (pacifica) delle odierne quattro popolazioni britanniche (gallesi, inglesi, irlandesi del nord e scozzesi) è ora messa in forte dubbio dal “capitale politico” di seggi conquistati da parte dei partiti nazionalisti europeisti; soprattutto da due anime scontente e irrequiete come Irlanda del Nord e (soprattutto) Scozia che, all’indomani del voto, hanno immediatamente dichiarato che loro con l’egocentrismo inglese non c’entrano nulla e che forti dello storico successo elettorale vogliono da subito cambiare le carte in tavole semmai promuovendo nuovi referendum secessionari.

(Giuseppe Vassura)