…e così rimanete ingiusto e non potete piacere che agli ingiusti. (Pascal)
A voi forse andrà meglio.
Io ci ho provato.
Con esiti deprimenti.
Ormai la memoria perde colpi, e anche l’attenzione verso le vicende della politica, deprivata delle emozioni trascinanti di un tempo, non è più così assidua.
Il fatto è che fra i milioni di parole che ci percuotono, ci stordiscono, si insinuano debordando dalle conferenze, le interviste, i cinguettii quotidiani, di concetti importanti, di riflessioni interessanti, di sequenze logiche intelligenti, di proponimenti saggi che ti fanno dire ecco forse ci siamo , finalmente qualcuno che capisce, che sa cosa fare, che farà qualcosa per arrestare il decadimento, per tornare a vedere le stelle, io Guido Tampieri fu Achille non riesco a ricordarne.
Mentirei se dicessi che sono attratto o anche solo incuriosito da qualcuno, da qualcosa, da una personalità, da un’idea, da un progetto concreto o da una embrionale suggestione.
Nel firmamento della politica, in queste limpide giornate di inizio anno, si scorgono più dirigibili che dirigenti.
La disinvoltura con cui i personaggi più improbabili si candidano a ricoprire ogni incarico istituzionale sconfina nel campo delle patologie psichiche.
Se non esistesse Salvini o, per meglio dire, se i turbamenti di questa vecchia Europa non avessero preso la deriva di una destra xenofoba e illiberale, aggressiva e ignorante, che impegnerà le nostre democrazie in una lotta senza quartiere, non andrei a votare.
Affiderei al non voto l’espressione della mia voglia di cambiamento.
Visto che attraverso il voto non sono riuscito a suscitarlo.
Dove c’è libertà di farlo, andare a votare è un dovere.
Non andarci è un diritto.
Allorquando non sia la manifestazione di un disinteresse civico ma la segnalazione che il tempo è scaduto, che la rappresentanza istituzionale vuol essere degna, che si può anche scegliere fra proposte modeste ma non continuare a farlo fra opzioni inadeguate che si perpetuano reggendosi a vicenda.
C’è un punto oltre il quale l’assuefazione rischia di diventare complicità e la protesta, quella potente di una piazza come quella silente della trasgressione di un obbligo civile, un servizio reso alla comunità.
La sola responsabilità che ci impegna è quella verso le nuove generazioni e finora non l’ha onorata nessuno.
Se mi reco a votare non è per acquiescenza ( ho fatto anche questo) , nè per rassegnazione alla mediocrità o per quel senso di colpa che tormenta da sempre l’animo di un elettore di sinistra deluso.
Vado a votare, per dirla con le parole di Martin Luther King, perché così vuole “la fiera urgenza del momento”.
Dalla quale attingo, in attesa di uomini e momenti migliori, di sollecitazioni attrattive che ancora difettano, straordinarie energie avversative.
Sono avverso, nel senso pieno dell’espressione Latina (adversus) a un progetto politico, a un’idea di società chiusa ed egoista, alle pulsioni illiberali che la irrorano.
Sono ostile agli uomini e alle donne, comunque si definiscano, sotto qualunque veste si presentino, che le portano avanti.
Il consenso che raccolgono non conferisce loro maggior valore mentre rafforza la mia determinazione a contrastarli.
Più correttamente che si può.
Mi piacciono le sardine, adoro l’ironia, penso che i buoni sentimenti siano il fondamento di una buona politica ma so anche che la storia non è un pranzo di gala e che la forza, come scrive Pascal, è la regina del mondo.
È sempre stato così.
A volte un pochino meglio, altre anche peggio di oggi.
In giro c’è troppo becerume, troppa cattiveria ma non commetterò l’errore di rimpiangere un tempo che non c’è mai stato.
La disintegrazione “fai da te” dei grillini è la conferma che il popolo ha sempre ragione ma nell’esercizio della sua sovranità a volte prende abbagli colossali.
E pericolosi, perché il trionfo dei demagoghi è effimero ma le rovine che lasciano sono durature.
Salvini appartiene a questa razza.
Fatta per essere amata o odiata.
Due sentimenti altrettanto importanti.
In questo caso sprecati.
Perché l’uomo, nel bene e nel male, è decisamente sopravvalutato.
In me suscita un discreto schifo, un sentimento personalissimo, costituzionalmente tutelato, che non ho la pretesa di veder condiviso e che mi accomuna idealmente a quell’impagabile ragazza che gli dedica il dito medio alzato in segno di affetto.
Non mi pare tuttavia fascista, nel senso tecnico del termine.
Nella miseria dei suoi espedienti è difficile riconoscere il segno del male assoluto.
Conte, che lo conosce bene, sostiene che è “insidioso per la democrazia”.
Parla di “slabbrature istituzionali”, che non capisco bene cosa voglia dire.
Quella povera gente irrisa, schernita, criminalizzata, abbandonata in mare in condizioni sub umane è qualcosa di più di una slabbratura.
Mio cugino Federico, che da ragazzo ha giocato contro Bulgarelli ( 3 a 3 in trasferta a Bologna) e di gioco sporco se ne intende, dice che ci preoccupiamo troppo e quelle cose sono solo carognate come in giro se ne vedono tante.
Se non le facesse Salvini, sostiene che le farebbero altri, magari una donna, cristiana perfino, o sedicente tale.
Non certo migliore di lui.
“Tutti gli uomini si odiano naturalmente l’un l’altro – scrive Pascal nei Pensieri – ci si è serviti come si è potuto della concupiscenza, per renderla utile al bene pubblico; ma ciò non è che finzione, è una falsa immagine della carità; perché in fondo essa non è che odio”.
Suscitarlo, risvegliarlo quando e sopito, allentare i lacci delle convenzioni sociali che lo trattengono, rimuovere gli ostacoli della religione e della cultura che ne intralciano il cammino, è sempre possibile.
E nemmeno così difficile.
Allorquando le acque della storia si agitano.
E fanno venire a galla la melma che giace sul fondo.
Salvini è meno di quel che rappresenta.
Per chiudere il conto col sovranismo non basterà saltare al di là della fosca figura del capitano.
(Guido Tampieri)
Di ”sequenze logiche intelligenti che ti fanno dire ecco forse ci siamo, finalmente qualcuno che capisce, che sa cosa fare, che farà qualcosa per arrestare il decadimento…” io ne ho trovate in Alberto Bagnai.
Va a finire che è il pollice…