Bologna. In piena campagna elettorale, il 4 gennaio scorso, con un comunicato sindacale firmato “i redattori e le redattrici di Radio Città Del Capo”, è stato lanciato un allarme: in sostanza i giornalisti accusano l’editore di voler chiudere la programmazione della nota radio bolognese e paventano il rischio di licenziamenti.

La vicenda ha scosso la politica: da destra a sinistra sono arrivati subito attestati di solidarietà. Il Pd, con l’assessore Marco Lombardo si è spinto persino a proporre un tavolo di conciliazione della vertenza in Comune.

Tuttavia, a quanto pare, la vicenda è più complessa di quel che sembra e il comunicato dei redattori che lanciano l’allarme sulla chiusura dell’emittente finora non ha trovato riscontri da parte dell’editore, che addirittura parla di “fake news” e aumento delle ore di programmazione.
Cerchiamo allora di ricostruire i fatti, partendo dalla scheda che compare sul sito di un’altra radio bolognese, Radio Città Fujiko, a firma del direttore Alessanro Canella, che ricostruisce le principali tappe della radio amica/rivale e le sue attuali difficoltà.

Nel dicembre 2011, su iniziativa del CdA della coop di giornalisti che gestiva la radio, non senza polemiche interne RCdC smise di essere una radio indipendente di proprietà di un “editore puro” e venne ceduta a Voligroup, poi diventata Open Group, grande cooperativa multiservizi che nulla ha a che fare con l’editoria.
A quanto risulta coloro che avevano gestito la cessione della radio una volta approdati a Voli/Open Group si disinteressarono completamente dell’emittente. Iniziò da lì il declino di RCdC, prima lento poi inarrestabile.
Alla fine del 2016, tuttavia, un gruppo di redattori e collaboratori di RCdC si attivò per risollevarne le sorti dando vita a un gruppo – “RcdcViva” – che si proponeva di ridare alla radio quella dignità editoriale che le era venuta a mancare.
La coop editrice Open Group, assieme ai giornalisti nominati dall’editore per dirigere l’emittente, direttore e caporedattore in testa, negarono però risolutamente ogni apertura, sia sulla partecipazione democratica alla programmazione, sia in merito alla richiesta di creare un Comitato editoriale  indipendente a garanzia dell’autonomia editoriale della testata.

Chiusa ogni porta al dialogo, tutti gli esponenti di RcdcViva nell’arco di poco tempo furono allontanati: c’è chi si dimise, ci furono quelli a cui non fu rinnovato il contratto a termine e alla fine, quando Open Group, ormai stufa della radio, esternalizzò il ramo d’azienda radiofonico cedendo la maggioranza a “NetLit srl” (una nuova società creata ad hoc assieme alla coop torinese Mandragola), arrivarono anche le vertenze sindacali e alcuni licenziamenti.
Questa  storia venne raccontata in un happening/evento pubblico dai redattori di RcdcViva fuoriusciti, in occasione del 30° compleanno della radio.

L’attuale Radio Città del Capo ora ha sostanzialmente due padroni: uno di minoranza, Open Group, e uno di maggioranza, coop Mandragola, tutti e due soci per quota di NetLit srl. I due padroni di RCdC però, negli ultimi tempi, hanno evidentemente cominciato a farsi la guerra tra loro.
E così si arriva al comunicato del 4 gennaio scorso, firmato dai redattori e fatto proprio dal direttore e dal caporedattore di RCdC, nominati da Open Group, che si scagliano contro l’AD di NetLit Renato Truce (coop Mandragola) accusandolo di voler “zittire” Radio Città del Capo” e smantellare l’emittente.
L’AD Truce risponde al comunicato dei redattori parlando di “fake news”.

Anche Open Group (che si era defilata) è costretta a farsi fa viva, diffondendo un comunicato in cui si parla di un “forte dissenso interno sulla gestione della radio nei confronti del socio di maggioranza”, anche se poi Open Group mette le mani avanti affermando cdi essere ormai solo un socio di minoranza che “nulla può fare”.
Insomma volano gli stracci…
La realtà è che le voci libere della radio, molti delle quali appartenenti al gruppo storico fondatore di RCdC, da diverso tempo sono state mandate via o si sono dimesse, nel silenzio generale della politica e della città. E che Open Group, se veramente teneva alla testata e all’informazione, visto che vanta fatturati milionari, poteva tranquillamente evitare di esternalizzare la radio per poi piangere lacrime di coccodrillo.
Quest’ultima vertenza, dunque, più che uno scontro in nome della libertà d’informazione sembra essere una fine annunciata: un dissidio tra componenti che, a vario titolo e con varie responsabilità si sono adoperate tutte, nel tempo, per disfarsi della “patata bollente”, eliminando di fatto ogni residua indipendenza editoriale di Radio Città del Capo.

Nessuno si augura certo la chiusura dell’emittente e i licenziamenti, eventualità peraltro smentita dallo stesso editore. Ma il continuo richiamarsi alla radio “libera e indipendente” (del tempo che fù..) appare più che altro un artificio mediatico e retorico per attrarre l’attenzione, più che una sincera volontà di rilancio.
Radio Città del Capo è stata veramente, per anni, a Bologna, un bene comune: per la qualità dei suoi programmi e per l’appoggio finanziario che riceveva dalla sua comunità di ascoltatori-abbonati, un patrimonio unico che è stato colpevolmente dissolto.

Insomma, c’era una volta una radio veramente“libera e indipendente”: ma forse ha già cessato di esserlo da molto tempo.

(a cura di m.z.)