Bologna. Correva l’anno 1848 per la precisione il giorno 8 del mese di agosto: il popolo bolognese, deciso e furioso, si tirò su le maniche della camicia e cacciò gli austriaci dalla città. Oggi, oltre un secolo e mezzo dopo, non c’è da cacciare nessuno, ma da ritrovare noi stessi. Oggi, dall’altro lato della via che costeggia la piazza, il monumento che ricorda quel giorno di gloria se ne sta lì a guardare con la non piccola differenza che il braccio levato non indica la vittoria, ma, forse, il coraggio di ritrovare una via smarrita.

Quante sardine! Altrettante ne ho viste, tutte insieme, forse, in un peschereccio jugoslavo che rientrava in porto colmo di piccoli pesci fini alle paratie: allungavi 5 dinari e ti riempivano la sporta di guizzanti pescetti verde e argento. Altro tempo. Oggi la grande piazza è stracolma di speranza, di consapevolezza, di decisione. Interessante osservare in quanti sono lì unicamente capaci di corteggiarla o di osteggiarla: un imprimatur, da entrambe le parti, di assenso al non aver compreso i propri errori, all’aver trascurato i propri valori, all’averne creati altri ora mendaci, ora fallaci. Ma si sa che risulta molto più facile scoprire i propri errori “dopo”piuttosto che riuscire nel prevenirli.

La grande foto che occupa le prime pagine dei quotidiani nazionali, ripresa da un grandangolare fin troppo spinto, mostra una marea di teste in assenza di bandiere, vessilli, cartelli. Solo qualche ricostruzione “casalinga” formato sardina, ora infissa su un’improvvisata asta, ora appesa ad un copricapo, ora incollata sul petto o sulla schiena; ai margini, appartati, i corpi della polizia restano immobili ed in silenzio, sorpresi da una manifestazione per la quale non occorrano cariche, manganellate, idranti. Che sia cambiato qualcosa?

E poi musica, parole, ancora musica a tutto watt! Tre, quattro ragazzi si alternano al microfono cercando di ricordare ai convenuti il perché della loro presenza. La loro capacità di improvvisazione sorprende: visibilmente si stanno divertendo la faccia: la grande responsabilità di quanto hanno creato non gli pesa. Bravi! Fra le tante parole ed interventi, un ricordo, improvviso, forte, lontano, di tanti anni fa. Una piccola caserma a guardia di un polveriera, sperduta nell’Appennino Ligure, con dentro una ventina di ragazzi in attesa del trascorrere del tempo; fra loro, io, con la compagnia di un libro: gli atti di un processo. Norimberga, Goring. La sua frase, pronunciata quasi a scusa del suo crimine. Parole che ti restano scolpite dentro, che ti segnano, che Fabrizio ha ripreso, a suo modo, in una canzone delle sue, quando ti chiedeva se ti deciderai a scegliere o ti farai scegliere. Le riporto. Leggiamole e rileggiamole.

” È naturale che la gente voglia la guerra, è compito del Leader di un paese indirizzare la gente verso la guerra. È facilissimo, basta dirgli che stanno per essere attaccati. Funziona così in qualsiasi paese, monarchia, democrazia o dittatura. Basta inculcargli la paura, occorre imbottirgli di paura come si fa con le oche”

Ecco la scelta: sardine o oche.

(Mauro Magnani)