Il signor Tommaso Tommasi, presidente Hera dal 2002, e il signor Valerio Camerano, amministratore delegato A2a dal 2014, sono saliti sul ring della borsa e sembrano intenzionati a suonarsele di santa ragione. Il premio? Più di 2.500.000 famiglie e oltre 500.000 aziende (quasi il 10% del produttivo nazionale): tali sono i numeri di utenza che si potrebbero raggiungere assumendo il controllo di Ascopiave. A qualcuno deve essere sfuggito tale livello di potenzialità, in quanto, nel ricco nord est, non è nato un punto di riferimento degno di questo nome per quanto riguarda la distribuzione di energia (elettricità e gas): il resto è storia di oggi.
Al momento stiamo assistendo alle scaramucce iniziali, operazioni di studio tese a verificare le reali potenzialità ed intenzioni del rivale: Hera ha rilevato un buon 2,5% di Ascopiave e A2a ha pensato bene di rispondere raggranellando un abbondante 4% della medesima: cedente il gruppo di investimento Amber che, pare, non disdegni lucrosi rialzi di prezzo dalla contesa in atto.
Il duello (si fa per dire) al quale stiamo assistendo ha origini non recenti: da alcuni anni Hera sta tenendo sotto controllo gli sviluppi della situazione nella ricca zona, prima assumendo il controllo di piccole aziende locali di Trieste e Padova, poi proponendosi come partner ideale di Ascopiave che sembrava tanto bisognosa di un solido partner.
Ora come ora, si tratterà di corteggiare alcuni piccoli comuni in attesa di abbondanti monetizzazioni: il prezzo delle azioni di Ascopiave è raddoppiato negli ultimi 5 anni e la cosa non appare essere di secondaria importanza. Ma se Hera è già in possesso di tale posizione privilegiata quale potrebbe essere l’interesse di A2a? Gli analisti valutano l’ipotesi dell’acquisizione di un posto, in consiglio, anche se di minoranza: posizione di assoluto privilegio per osservare e valutare le future mosse di Hera.
Mentre la vicenda tende a svolgersi nella consuetudine di rito dei grandi giochi finanziari tesi al controllo di zone di influenza sempre più vaste, sarebbe forse opportuno che l’occhio della politica prestasse maggiore attenzione al modificarsi di una situazione che vede Hera allontanarsi sempre più da quell’immagine di “insieme” di aziende municipalizzate finalizzate a fornire all’utenza energia e acqua di buona qualità e ad un buon prezzo per assumere la potenzialità e la dimensione di una vera e propria multi-utility dalle potenzialità enormi (non si sottovaluti la raccolta e la gestione del rifiuto), che immancabilmente deve tendere ad una sempre maggiore soddisfazione del capitale di partecipazione (sia esso pubblico che privato) che, acquisizione su acquisizione, assume dimensioni e potenzialità sempre più tese al traguardo di una dimensione adeguata e non rispetto al servizio di distribuzione reso, ma alla preponderanza del capitale investito. Altro aspetto interessante, degno di attenzione, riguarda la dimensione di capitalizzazione raggiunta: sia il valore di capitale investito e posseduto, sia la non indifferente quota di distribuzione di utile, tendono ad assumere dimensioni sempre più irrinunciabili agli occhi delle piccole e grandi Pubbliche Amministrazioni che vengono a trovarsi in un non facile equilibrio tra bilanci sempre più in difficoltà e contropartite di pareggio assai allettanti: non si pensi ad una situazione ricattatoria, che sarebbe decisamente fuori luogo, ma è innegabile che la forza del “liquido” risulta essere direttamente proporzionale alla sua stessa quantificazione.
Quando si vende una partecipazione di Hera (ed è già successo diverse volte), si vende per lucrare o per il fatto incontrovertibile che l’idea di un controllo da parte del pubblico appare sempre più come lontana chimera?
(Mauro Magnani)