Un giorno dopo l’altro la vita se ne va… (Luigi Tenco)
Da qualche tempo le nostre giornate sono scandite dalla conta dei morti.
Travaglio sostiene che la protezione civile deve smetterla di dare i numeri ogni giorno.
Li vuole dare solo lui.
Che se il Governo non li desse, apriti cielo.
Abbiamo solo quelli per orientarci nel buio.
Ammesso che siano reali.
Gran brutta bestia questo Coronavirus.
Mi ha fatto paura dal primo momento.
Sarà che sono repubblicano.
E anche un po’ ipocondriaco.
Dicono che sia la crisi più grave mai vista.
Cumulano forse nel giudizio i timori per l’economia.
Che sono sempre al primo posto dei nostri affanni.
Anche se, di questo passo, le uscite dell’INPS dovrebbero sistemarsi.
In tempo di guerra questa preoccupazione era sovrastata dal desiderio della pace.
Chiedetelo ai nostri vecchi, prima che sia tardi.
Primum vivere.
È sempre così.
Anche se vorrebbero convincerci del contrario.
Il giorno dopo la chiusura Renzi già spasima per aprire.
Che dovremo trovare dei compromessi in un percorso accidentato che si prospetta lungo non è difficile da capire.
Ma star fermi un po’ potrebbe aiutare a doppiare capo Horn per navigare in acque meno pericolose.
A ferragosto si ferma tutto e la Terra è ancora in asse.
Avremmo preferito tutti continuare a vivere in una galleria del benessere al riparo dai venti, come è accaduto, unici nella storia eppur lamentosi e incattiviti, per oltre mezzo secolo.
Siamo storditi da questo riscoperto rapporto col dolore e la morte e tuttavia bisognerà pur provare a razionalizzare quel che accade, senza lasciarci sballottare fra sottovalutazione e esasperazione.
Prendere le misure a questa emergenza: è questo che serve.
E di lì far discendere le azioni per governarla.
Dico la mia, consapevole, come sostiene Einstein, che il punto di vista dell’osservatore influenza il fenomeno.
Perfino se ci privasse del conforto di Sgarbi questo flagello mi pare tuttavia un male minore di una guerra.
Che per fortuna noi non abbiamo conosciuto.
Nelle trincee, dentro i rifugi, si stava peggio che in casa davanti alla televisione.
Ancorché trepidanti.
Pochi uscivano a correre.
Dove poi?
Ad Aleppo non ci sono più parchi, non c’è più niente.
Si muore tanto, lo so bene, visto che a settantadue anni e con qualche malanno sono un bersaglio e passo il tempo a vigilare l’insorgenza di sintomi sospetti.
Ma in guerra si muore a vent’anni.
Anche la famigerata “spagnola” mieteva vittime soprattutto fra i giovani.
Con dolorose eccezioni che ci auguriamo restino tali, che la morte visiti prevalentemente gli anziani fa tutta la consolatoria differenza.
Andarsene a una certa età non è poi così innaturale né insopportabile.
“Non voglio morire ma essere morto mi è indifferente” ha scritto Cicerone.
Non ci dà noia l’esser morti ma il morire.
“Quel” modo non aiuta.
Per niente.
Non so cosa succede qui, e mi auguro, anche nel migliore dei casi, di non doverlo accertare di persona, ma le immagini dai fronti più aspri ci danno l’impressione che tra le persone asserragliate nelle loro abitazioni e i medici assediati negli ospedali ci sia solo l’appello a restare a casa.
Che se uno avverte qualche sintomo sospetto non sappia bene cosa fare.
Al pronto soccorso non può andare.
Dal medico di base è sconsigliato recarsi.
A caso sua, per qualche sintomo, non va nessuno.
Il tampone si fa solo se si aggrava molto.
E a quel punto è fatta.
La soddisfazione è morire censiti.
Per alcuni nemmeno quella.
Inquieta perché le autorità ci dicono che più precoce è la diagnosi tanto maggiori sono le possibilità di guarigione.
Vuoi isolando, vuoi ospedalizzando.
Dal che si deduce che, ferma restando l’esigenza di dotare gli ospedali e chi ci lavora di tutto il necessario per fare il possibile, individuare , diagnosticare e prendere in consegna i casi sospetti è il secondo cuore del problema.
Anche per non trasformare altri eroi in martiri.
Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi, e beati i medici che non sono costretti a diventarlo.
“Più tamponi facciamo più contagi troviamo” annuncia la Regione Lombardia.
Chi l’avrebbe mai detto!
Forse conoscere la situazione reale sarebbe stato utile anche prima.
Pre pre-disporre le azioni.
Come Dio comanda e scienza consente.
Se non è stato fatto non è solo per mancanza di reagenti ma per scelta.
Non certo medica.
Solo voci isolate hanno fatto da sponda a chi, amministratori, imprenditori, opinionisti, ha contrastato la diffusione dei tamponi per timore di compromettere l’immagine con la verità.
Con un danno, anche economico, cento volte maggiore.
Inutile recriminare sul passato.
A voltarsi si resta di pietra.
Costringiamoci a guardare avanti.
Ci sono stati errori, che in una situazione del genere sono inevitabili, e l’errore che tutti li orienta: la sottovalutazione, che i meno buoni chiamano superficialità.
Alimentata dall’ignoranza sulla reale portata del flagello, che i dati truccati della Cina non ci avevano rappresentata.
Ma anche da una ideologia produttivista ormai padrona del nostro universo valoriale.
Non siamo tutti colpevoli ma alcuni si.
Allorquando la risposta ai problemi che minacciano le fragili società postmoderne è “non so”, bisogna interrogarsi e, quando occorre, fermarsi.
In tempo.
Lo show non deve andare avanti per forza.
Si tratti del cambiamento climatico o di una epidemia.
Si chiama principio di precauzione o, con parola antica, semplicemente prudenza.
Se ne parlo è perché gli stessi fattori che hanno trattenuto e condizionato la risposta si ripresenteranno all’atto di decidere tempi e modi della ripresa.
Sentito il sindaco di Ercolano invocare la riapertura per far ripartire subito il turismo.
Andateci voi un Campania.
Dopo l’allarme di De Luca.
Io vi raggiungo appena posso.
L’epidemia passerà.
Se non avremo fretta, se saremo assennati passerà.
Si troverà un vaccino, si è sempre trovato.
Ci azzufferemo per accaparrarcelo, anche i no vax .
Il futuro sarà come faremo in modo che sia.
Le guerre dividono i popoli, li rendono naturalmente nemici, mentre un’epidemia sospinge spontaneamente all’unione, a remare assieme come invita a fare il Papa, ad affratellarsi nel dolore e a congiungere le forze per superare le difficoltà che invariabilmente si presentano durante e dopo.
Solo se davvero grande è la stupidità sotto il cielo, se a rappresentarci nelle istituzioni nazionali e internazionali ci sono piccoli uomini senza discernimento avviene il contrario.
Fino a che non avremo rimesso la barca in linea di galleggiamento il nemico è il virus.
Tutto il resto, se proprio non lo vogliamo considerare amico, che in genere ci riesce difficile, è figlio, comunque sia, di un nemico minore.
Da quel che diciamo e facciamo, in Italia e in Europa, non sembra che tutti l’abbiano capito.
Questo flagello non è una guerra ma noi corriamo il rischio, se non ne governiamo le dinamiche e le conseguenze, che lo diventi.
I morti sono le vittime globali del battito d’ali di un pipistrello in Cina ma il disastro economico preannunciato ci sarà solo se noi lasciamo che ci sia.
(Guido Tampieri)