Cosa diranno ora tutti i miei insigni accademici (amici, colleghi e non) che hanno indottrinato, con i loro saggi europeisti, migliaia di studenti sull’importanza dell’esistenza inevitabile di un’Europa in un mercato comune dal respiro globale? Ora che la loro tanto sbandierata Europa ci ha chiuso tutti i portoni in faccia! Ora che è evidente che tutti ci hanno considerato dei fresconi, dei poveri ingenui da poter spolpare fino alle midolla per sfilarci da sotto il naso il nostro prestigioso stivale del made in Italy!
Noi Italiani, coacervo di culture regionali e locali che già faticano a stare in un’Italia unita, come avremmo potuto relazionarci in un’Europa politica che sopravvive solo nelle cartine geografiche degli atlanti scolastici? Questa è un’Europa distante dalla povera gente, ad uso esclusivo degli intellettuali, dei politici e dei banchieri. Un’Europa che prima ha fatto collassare la Grecia, patria della cultura occidentale ed ora cerca massima soddisfazione nel cancellare anche l’arte e l’estro dell’italico Bel Paese.
(Sante Boldrini)
Una discreta sintesi di un genuino pensiero destroso limpido come l’acqua di fonte, arricchito di termini e immagini tipiche dell’ultimo ante-guerra.
Nessuno può negare che l’Europa debba ancora compiere notevoli passi in avanti e molti in direzione avversa a quelli compiuti fino ad ora, ma la domanda corretta da porsi è: “Dove e come saremmo noi (Italico Paese – rubo da qui sopra) senza Europa? Chi acquisterebbe i nostri BTP in assenza di garanzia europea (vedi Q. E.) con l’unica copertura di uno Stato solo in grado di corrispondere interessi aumentando il debito?
Il signor Boldrini deve poi aggiornarsi in tempo reale in quanto sembra che l’Europa non sia poi tanto ferma.
Caro Mauro, noi abbiamo sicuramente delle grosse responsabilità, come popolo, ma soprattutto come classe politica, che è poi espressione del popolo senza nulla togliere: certo che il debito pubblico costruito per mantenere il consenso, da quelli che molti definiscono oggi essere stati “statisti”, parlo dei DC e dei PSI, ha peggiorato molto la giusta considerazione che all’estero hanno di noi.
Comunque un’Europa costruita solo sul valore dell’euro, senza una minima base politica e di tutele sociali comuni, con regole concorrenziali speculative tra i vari stati, non è certo quella che gli italiani vorrebbero.
Contrariamente alla sciocchezze che ci vengono ripetute a reti unificate da anni, l’Italia è in saldo primario da 30 anni quasi ininterrotti! Sono 30 anni (sola eccezione il 2009) che lo stato incassa più di quanto spende per pensioni, sanità, stato sociale! Come se lo spiegano gli araldi difensori del “debito pubblico costruito per mantenere il consenso”? Come lo vogliamo chiamare un debito che, in 30 anni ininterrotti di tagli allo stato sociale e spese minori delle entrate, è sempre e solo cresciuto? Usura? Non viene il dubbio che forse il problema sia da ricercare altrove? La povera Danimarca senza l’euro come fa? Chi li compra i suoi btp?
Il problema dell’eurozona sono gli squilibri commerciali interni causati proprio dalla rigidità del cambio (ottenuta prima con lo sme e poi con l’euro):
– se uno stato (ad esempio la Germania) esporta molto la sua moneta è molto richiesta (la golf la pagavi in lire ma il concessionario la acquistava dalla vw pagandola in marchi);
– se una moneta è molto richiesta aumenta il suo valore rispetto alle altre;
– con una moneta forte i tuoi prodotti sono meno convenienti all’estero e quindi probabilmente ne esporti meno (la vw continua a vendere la golf a x marchi, ma x marchi corrispondono in Italia a più lire per via del fatto che il tasso è cambiato ed il marco si è rivalutato rispetto alla lira). Al contrario, in patria, risultano più convenienti i prodotti esteri e quindi probabilmente ne importi di più.
Questo fisiologico aggiustamento della bilancia commerciale viene meno ogni volta che si fissa il cambio tra economie differenti ed ha come conseguenza la deindustrializzazione dei paesi “più deboli” che sono costretti a commerciare con una valuta sopravvalutata. Sta succedendo in europa, è successo in Argentina con l’aggancio al dollaro e nella Germania est dopo l’unificazione.
Le poltiche di austerità servono solamente per comprimere la domanda interna e ridurre le importazioni di prodotti stranieri (se la gente ha meno soldi in tasca consuma meno e statisticamente comprerà anche meno prodotti stranieri). Prova ne è che il debito non è mai calato neanche dopo le fantastiche riforme del governo Monti.
Le bellissime riforme del mercato del lavoro stie job act servono invece a mantenere i salari sufficientemente bassi da colmare il gap di competitività causato dalla moneta sopravvalutata (la moneta sopravvalutata rende i tuoi prodotti poco convenienti rispetto a quelli esteri, per recuperare sei costretto a ridurre i salari mantenendo un livello di disoccupazione sufficientemente alto).
Difendere lo stato sociale, il lavoro e la democrazia oggi significa innanzitutto rifiutare l’euro!
Che la soluzione non sia una maggiore integrazione europea ce lo dice la storia del nostro stesso paese: in Italia, (dove parliamo la stessa lingua e abbiamo sistema scolastico, previdenziale e fiscale comune da 150 anni, sicchè più Italia si può dire che l’abbiamo avuta!), l’unione monetaria sta in piedi solamente grazie ai trasferimenti fiscali e alla mobilità del fattore lavoro. Cose che non si potranno realizzare mai in europa:
– i paesi del nord non accetteranno mai trasferimenti fiscali
– la mobilità del fattore lavoro è ostacolata da tante barriere prima tra tutte quella linguistica.
Ed in ogni caso, disideriamo veramente un’Italia impoverita, che sopravvive di sussistenza e l’unica prospettiva che da ai giovani è quella di emigrare?