Il senso del perché della Festa del Lavoro 2020 sarà l’occasione per riflettere con razionalità e buon senso sulla gratificante opportunità che l’occupazione ci dà e su ciò che di contro comporta la mancanza di lavoro, che ci toglie tutto, la libertà del nostro vivere, la salute e l’armonia degli affetti di chi vogliamo bene, che Coronavirus o no non vediamo l’ora di riabbracciare.
Ma come quest’anno in piena emergenza la Festa del Lavoro si presta ad esponenziare l’attenzione sulle difficoltà che stanno vivendo le comunità, perché è proprio per tutelare l’opera delle persone che ai primi del ‘800 nacquero in Gran Bretagna le associazioni dei lavoratori.
E’ sempre importante festeggiare il 1° Maggio anche se tanti sono gli accostamenti tristi che accomunano questa giornata di festa dei lavoratori, dalla strage di Portella della Ginestra del 1947 dove gli uomini del brigante Salvatore Giuliano a raffiche di mitra lasciarono senza vita 11 persone fra le tante che si erano riunite per festeggiare il successo elettorale della coalizione Psi-Pci “Blocco del Popolo”, all’altra sventura che colpisce ogni anno le persone che si infortunano e che contraggono malattie negli ambienti di lavoro, non bastasse ciò, ancora si muore per effetto dei contagi da Coronavirus.
Cgil, Cisl, Uil e la miriade di sigle che compongono gli staff di donne e uomini a disposizione degli interessi dei lavoratori tendono le mani, a volte inutilmente, alle nuove generazioni cercando non più come una volta di essere “a prescindere” contro l’imprenditoria privata del solo profitto e tornaconto, vista oggi non più come un’avversaria da osteggiare bensì come un’opportunità da cogliere, anche per come rendere più sopportabili le condizioni di lavoro degli occupati.
La recessione appena passata ha fatto spazio all’emergenza sanitaria 2020 che ha messo in stand-bye riferimenti e progettualità del made in Italy, bloccando (quasi) tutto ciò che fa Pil, industria, manifattura, turismo, ecc., e lasciando al solo agroalimentare l’onore (e l’onere) di “salvare la baracca” in tempi di lookdown; la fase 2 dell’emergenza Coronavirus è alle porte e serviranno “spalle larghe” da parte di tutti, anche da parte del sindacato, dove c’è bisogno di uno scatto per elaborare strategie occupazionali vincenti ed per ascoltare da subito le voci “dal basso” , soprattutto quella delle nuove generazioni, senza dar peso agli interessi di bottega e tantomeno prestarsi a strumento di promozione ingessato da vecchi stereotipi.
L’obbligo del sindacato di dimostrarsi cooperativo è stato infatti in un recente passato uno dei grandi problemi, dalle problematiche su licenziamenti e ammortizzatori sociali a come far entrare o uscire dal mondo del lavoro, perché rispondere ogni giorno a decine di richieste inutili ha comportato a trascinare da una riunione all’altra decine di sindacalisti, subissati da email che hanno richiesto risposte tanto mediate quanto (a volte) vuote di contenuti, col risultato che non c’è stato tempo per pensare, come fosse sembrato più non necessario il concetto di riflettere sulle chance del mondo del lavoro.
Le nuove tecnologie d’altronde non hanno aiutato in ciò avendo esteso gli impegni ben al di là degli orari di ufficio, una ricerca Usa di Good Technology citata sull’Economist di qualche anno fa metteva in luce proprio l’aspetto che più dell’80% delle persone ha continuato a lavorare anche dopo aver lasciato la scrivania, che il 69% non ha dormito se prima non controllato la posta elettronica e che il 38% ha letto le mail a cena.
(Giuseppe Vassura)