Il governo ha deciso: le scuole rimarranno chiuse per altri 4 mesi e si rientrerà in classe con l’anno scolastico 2020-2021. Questo significa che non ha nessun senso ragionare su possibili correttivi o strategie alternative? Non credo, anche perché nessuno sa con esattezza quale sarà la situazione del paese a settembre 2020.
In queste settimane si è parlato molto di didattica a distanza. Anche le famiglie meno tecnologiche sono state costrette a familiarizzare con Skype, Hangouts Meet, Classroom, Zoom ecc. L’insegnamento online in questa fase acuta, purtroppo, si è rivelato come l’unico strumento disponibile per garantire, almeno in parte, la continuità delle attività didattiche.
La scuola, tuttavia, ha bisogno di altro, soprattutto di luoghi fisici in cui studenti e insegnanti possano – come prima dello tsunami sanitario – vedersi, incontrarsi vis à vis, discutere, confrontarsi, scambiarsi reciprocamente non solo informazioni, ma anche speranze, paure, curiosità, emozioni.
Con la pandemia ai giovani improvvisamente è venuto a mancare un luogo vissuto come proprio, dove mettersi in relazione con gli altri, una comunità viva e partecipata che si nutre di contatti fisici, sguardi, parole, discussioni, confidenze, pacche sulle spalle, abbracci, saluti rassicuranti fra i corridoi. E’ possibile, almeno in parte, salvaguardare questa dimensione viva e reale della relazione educativa senza perdere completamente il valore profondo, unico e bello della scuola, vale a dire l’esperienza diretta dell’incontro reale con l’altro-da-sé, docente o compagno che sia?
Io penso che con un po’ di coraggio e fantasia sia possibile. Mi spaventa l’idea che la didattica a distanza possa essere considerata, al di là dell’emergenza, come una modalità educativa”normale”, ordinaria, in grado di sostituire completamente la lezione frontale, l’incontro ravvicinato.
Partiamo dal fatto che il problema fondamentale per la scuola è costituito dal numero degli allievi in rapporto alla dimensione delle aule, cioè dalla possibilità di garantire il distanziamento fisico. Per evitare i contagi si può favorire l’aerazione, soprattutto ora con l’inverno ormai alle spalle, si può intensificare la sanificazione e la pulizia degli ambienti, ci si può dotare di dispenser per disinfettanti, guanti e mascherine. Ma non si possono assolutamente stipare 25 studenti in un’aula di 45 mq.!
Ecco dunque il grande dilemma: come garantire la distanza, il fattore di protezione individuale più importante ed efficace? Per risolvere questo problema è inutile e velleitario vagheggiare un improvviso e miracoloso rilancio dell’edilizia scolastica. Per interventi di ristrutturazione e per costruire nuovi edifici scolastici (con relativi finanziamenti, procedure, progettazione, appalti, esecuzione …) possono trascorrere anni. Perciò dobbiamo ricorrere non a qualche prestigioso ed esoso team di superesperti ma ad un vecchio e inossidabile strumento: il buonsenso.
Ecco due semplici, forse semplicistiche, proposte che vorrei avanzare sperando possano essere utili almeno per aprire una discussione.
1) Dividere le classi e utilizzare ampiamente anche il pomeriggio.
In presenza di una classe di 24 alunni che non possono, per il problema delle distanze di sicurezza, utilizzare contemporaneamente un’aula, la si potrebbe dividere in due sottogruppi di 12 alunni che, svolgendo lo stesso programma, farebbero lezione rispettivamente mattino e pomeriggio, in questo caso quell’aula, inadeguata per 24 persone diventerebbe idonea per 12 persone.
A chi poi paventasse il rischio di spezzare l’unità classe e di minare dinamiche di gruppo consolidate, si potrebbe rispondere che i sottogruppi possono essere flessibili e ricomponibili dal momento che gli insegnanti svolgerebbero lo stesso programma mattino e pomeriggio.
E’ chiaro che ciò comporta un diverso utilizzo delle strutture e degli insegnanti. Concretamente bisognerebbe modificare gli orari di lezione, reclutare nuovo personale docente e ci sarebbero sicuramente maggiori spese ma in questo modo il ruolo della scuola come luogo fisico in cui incontrarsi e vivere esperienze condivise sarebbe salvaguardato.
2) Incontrarsi in altri spazi della città in grado di garantire la distanza di sicurezza.
Un’altra soluzione potrebbe essere quella di consentire, almeno occasionalmente o una tantum, al gruppo classe di incontrarsi fisicamente coi docenti pur continuando a lavorare online, utilizzando al meglio gli strumenti tecnologici di cui possiamo disporre.
Si potrebbero utilizzare a rotazione le sale più ampie della scuola (sale riunioni , laboratori, corridoi, palestre biblioteche …) che potrebbero garantire la distanza di sicurezza oppure verificare la possibilità di uscire dagli edifici tradizionali e utilizzare spazi alternativi.
In ogni città infatti, a partire ovviamente da certe dimensioni, esistono spazi e sale di notevole ampiezza; moltissime quelle che con la normativa attuale possono accogliere fino a 99 persone. Dopo aver fatto un censimento di queste sale che hanno proprietari e gestori diversi (Regioni, Comuni, Banche, associazioni di varia natura, parrocchie ecc.) le si potrebbe richiedere in uso gratuito per incontri (o per una sola lezione) di singole classi che, rispettando le distanze di sicurezza, avrebbero la possibilità di rivedersi direttamente insieme ai docenti. Sarebbe un modo importante per rassicurarsi vicendevolmente, per guardarsi negli occhi, per dirsi che il mondo va avanti e si può nuovamente progettare un futuro comune.
Allo stesso scopo si potrebbero utilizzare spazi aperti di cui molte scuole dispongono (cortili, aree verdi, campi di gioco) per fare lezioni all’aperto. Naturalmente anche in questo caso bisognerebbe programmare scrupolosamente l’utilizzo di questi spazi per evitare usi impropri e sovrapposizioni pericolose.
E’ evidente che mentre la prima proposta è puramente teorica in quanto confligge, per ora, con le disposizioni ministeriali, la seconda potrebbe essere sperimentata e praticata; servono solo coraggio, fantasia e capacità organizzativa.
In conclusione dobbiamo continuare ad utilizzare al meglio smartphone, pc e tablet senza però dimenticare che la didattica a distanza non potrà mai sostituire pienamente il contatto fisico, diretto tra ragazzi e insegnanti.
Quindi studiamo online ma non perdiamoci di vista.
(Valter Galavotti)
La prima soluzione (impraticabile per un motivo che dovrebbe essere evidente anche…a un bambino) almeno consentirebbe di svolgere in aula tutto il normale programma scolastico.
La seconda al contrario non potrebbe essere utilizzata per coprire le ore di lezione, visto che non esistono minimamente tante sale quante sono le classi delle scuole; si tratterebbe quindi di incontri molto saltuari, di efficacia prossima allo zero in quanto il contesto porterebbe tutti a distrarsi e concludere poco o niente. In compenso, quanto agli aspetti pratici: andirivieni attraverso la città (come?), necessità di adeguati servizi igienici e impiantistica, materiali didattici da spostare, banchi da mettere e togliere, pulizie… Non parliamo poi dell’organizzazione con i titolari delle sale. Quanto agli “spazi aperti”, peraltro non attrezzati, immagino la scena nei mesi invernali.
Assurdità.
Io credo che tutte e tre le proposte siano valide. Non si escludono a vicenda anzi si potrebbero articolare anche insieme. Ad es. metà classe in aula e metà in giardino negli stessi orari oppure con uso di aree diverse come mensa o palestra. Penso che sia necessario puntare sulla pulizia delle mani, delle superfici e delle aree comuni più che sull’uso delle mascherine nei bambini. Ci vuole coraggio è necessario che la scuola si rinnovi e colga questa pandemia come un’opportunità di cambiamento.