Imola. Dagli incontri virtuali, messi in campo dal Centro studi Alcide De Gasperi del Circondario di Imola, emerge un grido di allarme sul fronte emarginazione. Già la crisi economica aveva accentuato la problematica, ora l’emergenza coronavirus sta mettendo a rischi fette sempre più ingenti di popolazione. E’ quanto emerge dai quattro interventi dell’incontro dei giorni scorsi.

Foto Pixabay

Roberto Capucci (presidente della Coop. Lavoratori Cristiani Imola che gestisce la mensa Acli)
“La nostra cooperativa è una struttura di accoglienza e ristorazione con sede da 71 anni in palazzo Monsignani. Nata nel dopoguerra per le famiglie che cuocevano nella nostra cucina i prodotti comprati da noi, è diventata poi ristorazione per studenti, lavoratori e persone sole. Negli ultimi anni abbiamo riorganizzato tutto il servizio e messo a norma i locali. Ora è una cooperativa di consumatori con licenza regolare di ristorazione e mensa. Dall’anno scorso abbiamo dato in affitto la gestione del ristorante e noi ci siamo occupati degli ultimi. Li accogliamo, chiedendo loro di sedersi a tavola, li serviamo tramite volontari della S. Vincenzo e della Don Orfeo. Col lockdown siamo rimasti chiusi 2 giorni, dopo di che, in accordo con la Caritas, abbiamo prodotto i pasti che poi la Caritas distribuisce a ciascuno di loro. In questo periodo le richieste sono raddoppiate.
I nostri ospiti sono gli ultimi ma i primi che soffrono in questa crisi, perché pieni di bisogni. Lo stare a casa per loro è stato un cambiamento totale perché le loro relazioni erano in giro per la città, oggi deserta. Con la Caritas ad alcuni abbiamo offerto un tetto nella Casa rifugio Sofia. Altri usufruiscono di un appartamento di servizio, dove convivono faticosamente con 3/4 altri estranei. Non hanno bisogno solo di cibo, ma anche di igiene nelle case in cui convivono per essere sicuri che il virus non circoli.
Noi li abbiamo cercati, uno per uno, per rispetto della loro dignità in una città in cui non incontravano nessuno che li degnasse di un minimo di considerazione; abbiamo cercato di fargli capire che noi non siamo commercianti e che loro non sono clienti. Queste persone sono il prossimo da accogliere per quel senso di solidarietà che nei momenti eccezionali è sempre emerso nella storia della nostra città. Non sono utili all’economia, ma sono utili a ciascuno di noi perché con la loro presenza ci ricordano che esistono e per un credente sono un’occasione di ‘incontro’. Hanno bisogno di un pasto, di una vicinanza anche nella burocrazia necessaria a trovare aiuto, di essere presi in considerazione, di sentirsi chiedere come stanno, come riescono a risolvere i problemi pratici. La quasi totalità è stata espulsa dalle famiglie di origine. Agli “ultimi” si interessano solo quelle persone che apprezzano ciò che loro possono dare. Io mi sento a casa quando parlo con loro, quando sono in loro compagnia, diversamente da quando vivo cogli amici. Stare accanto a loro è un regalo di questa emergenza. Seguiamo circa 25/28 persone al giorno, di cui la metà italiani. La situazione sociale e lavorativa degli ultimi peggiorerà da qui a questa estate, si aggiungeranno tanti disoccupati. Chi ci governa e ci amministra deve capire che è tempo di occuparsi non solo di cibo e di salute ma anche della fragilità delle persone, i cui equilibri nei prossimi mesi saranno messi a dura prova”.

Senzatetto (foto Pixabay)

Luca Gabbi (direttore Caritas diocesana Imola)
“Vorrei evitare il ‘gioco delle parti’ stando al quale la Caritas, quando si pronuncia, deve usare toni apocalittici, tacciandola poi di catastrofismo. Ebbene, non è così, la Caritas cerca soltanto di essere voce di chi non ha voce. Crede nelle capacità delle persone che incontra, non fa assistenzialismo, misura l’efficacia dei propri servizi. Ha bellissime storie da raccontare di riscatto delle persone, di percorsi verso l’autonomia di chi si è rivolto a noi. Detto ciò, non possiamo neppure mettere la testa sotto la sabbia e dirci che vada tutto bene. La disuguaglianza sociale è in aumento da anni e questa crisi che stiamo attraversando non potrà che incrementarla (quindi non possiamo dire che tutto andasse bene nel periodo pre-covid!).
Il Rapporto sulle povertà (al plurale!: povertà relazionali/solitudine/culturali/fragilità psicologica/spirituale) 2019 evidenzia dei bisogni che ancora oggi, nell’emergenza che stiamo vivendo, riconosciamo presenti nelle persone accompagnate. Ciò che cambierà nel corso del 2020 sarà purtroppo un loro incremento perché verranno a mancare lavoro e reddito, posti letto e abitazioni, e sarà soprattutto necessario qualcuno che stia loro vicino. La pandemia dalla quale siamo stati rapidamente travolti nelle nostre abitudini ci ha toccato profondamente e abbiamo dovuto riorganizzare in sicurezza il nostro servizio. Molte delle persone che seguiamo hanno visto il loro fragile equilibrio lavorativo venire spazzato via, con tutte le conseguenze a cascata.
Vorrei attardarmi un momento a parlare di alcuni dati oggettivi, in tempi precedenti il covid, non per spaventare, ma per sensibilizzare, per umanizzare la società, per farci interrogare dai numeri perché possa nascere una nuova solidarietà.

Nel 2018 sono stati eseguiti 906 sfratti nel solo territorio della Città Metropolitana di Bologna. Nel corso del 2020 il Comune di Imola assegnerà non più di una decina di case ERP. In Caritas riceviamo mediamente 4 richieste a settimana di appartamenti in affitto e mediamente 3 richieste di posti letto per persone separate. Abbiamo anche ospitato nelle proprie case d’accoglienza 113 uomini singoli separati negli ultimi 3 anni per periodi medio-lunghi per fare un percorso con queste persone. Ci pervengono oltre 900 richieste all’anno di contributi economici e nel 2019 abbiamo sostenuto circa 250 nuclei per un totale di 91.000 euro.

Nel 2017 ad Imola sono stati spesi in giochi d’azzardo 93,39 milioni di euro (dati AAMS, ultimo dato disponibile). Essendo i residenti nel Comune di Imola 69.936, sono stati giocati in media 1.335 euro a testa (compresi i minorenni). Il gioco è vietato ai minori, ma nel 2015 il 36% degli studenti delle scuole superiori imolesi (1.160 su 3.224) avevano giocato ad un gioco d’azzardo nell’ultimo mese (dati questionario Ausl/Caritas).
Nel 2018 nel territorio del Nuovo Circondario imolese ci sono stati 34 casi denunciati di violenze sulle donne, 24 nei primi 9 mesi del 2019. Molto meno del 50% delle donne che subiscono violenza sporgono denuncia.
Nel 2019 gli operatori del centro d’ascolto Caritas hanno avuto colloqui con 733 nuclei familiari. Nel 10% circa di questi si sono evidenziate serie lacerazioni relazionali.

Ogni anno circa 100 persone senza dimora ci chiedono un ricovero notturno e nel 2019 ne abbiamo ospitate 51 (anche in collaborazione con altri Enti).
Ogni anno circa 100 persone vengono accompagnate dalla Caritas nella ricerca attiva del lavoro. Questi i dati oggettivi, non amplificati.

Vogliamo vedere in faccia la realtà? In queste ultime settimane si presentano già volti nuovi. Una pletora di lavoratori precari: questa è il volto drammatico attuale del lavoro! Cosa chiedono? Aiuti per bollette, affitti e … beni primari. No Sprechi.

Ma desidero sottolineare questo: in questo troncamento delle relazioni, patiscono – non solo economicamente – le persone più deboli. Da un lato si fa la cosa “giusta” per la sanità (e non si poteva agire diversamente), dall’altro quella “ingiusta” per il sociale. C’è un equilibrio che va ritrovato, salute e lavoro non possono essere in conflitto tra loro. Solidità, velocità di risposta, flessibilità degli ETS. Di converso, burocrazia e lentezza dell’Ente pubblico. Senza una profonda riforma del Pubblico – e questa emergenza ce lo sta insegnando – non potremo, come sistema, che arretrare. Questo periodo ci deve insegnare ad avere più creatività, maggiore collaborazione, capacità di sburocratizzazione (ci sono già esempi virtuosi!), spinta verso un welfare municipale. È un periodo di grandi opportunità per il futuro!”.

Fabrizia Fiumi (presidente del Comitato di Imola della Croce Rossa Italiana)
“La Croce Rossa è una associazione mondiale di volontariato nata a Imola dal 1888, in tempo di guerra. In questa circostanza non potevamo fare a meno di mantenere la nostra fedeltà ai sette principi che costituiscono lo spirito e l’etica della nostra associazione: Umanità, Imparzialità, Neutralità, Indipendenza, Volontariato, Unità e Universalità. In qualità di Ente privato, ci sosteniamo con le donazioni. Ci muoviamo per obiettivi e per ambiti nell’interesse della salute, della socialità e della gioventù, quest’ultima per la forza e l’entusiasmo che può offrire alla generazione adulta.

L’ emergenza attuale ci sta insegnando che senza collaborazione nessuno si salva da solo. Abbiamo messo a disposizione dell’Asl le nostre ambulanze, più una quinta ad uso specifico dei pazienti infetti. Trasportiamo con 4 viaggi al giorno 7/12 dializzati e i pazienti in riabilitazione a Montecatone, dove svolgevamo anche volontariato durante l’assistenza pasti. Alcuni di questi servizi si sono per ora interrotti, come pure si è interrotto il rapporto con i malati di Parkinson. Collaboriamo attivamente con l’Asp. Abbiamo attivato due progetti con Sol.co e con Caritas per il sostegno di persone senza fissa dimora, cui diamo ascolto, speranza, informazioni per il futuro. In collaborazione abbiamo offerto loro la Casa Rifugio Sofia, una struttura notturna che ha ospitato per l’inverno 4 donne e 12 uomini, come soluzione temporanea. Inoltre, sono state aperte Casa Noè e Casa Santa Chiara per uomini e donne con una certa autonomia.

Abbiamo trovato anche una casa diurna per gli ospiti di Casa Sofia con la collaborazione di militari e di volontarie. Con un altro progetto “No sprechi” abbiamo pensato a chi ha bisogno di alimenti, a scaffali aperti in cui le persone scelgono quello di cui necessitano, mettendo a disposizione tutte le derrate alimentari che ci vengono offerte, assicuriamo anche la consegna a domicilio dei prodotti.

Abbiamo protetto i nostri volontari dotandoli di tutti quanti i dispositivi necessari perché non corrano rischi nell’ aiutare gli altri, creando anche un supporto psicologico. Per ultimo, abbiamo sanificato e ancora lo stiamo facendo, tutti i mezzi delle forze dell’ordine del nostro territorio.

Continueremo a mantenere il tradizionale supporto sanitario, ma anche un’attenzione ai giovani, che sempre più si interessano al nostro volontariato. In tempi normali la nostra attività di formazione consiste in 40 ore di formazione in presenza. Ora, abbiamo pensato a una figura nuova, il “Volontario momentaneo”, formandolo con solo due incontri in presenza e il resto on line. Si sono formate 30 persone attive nei “No sprechi” e per il recapito a domicilio della spesa. Ma abbiamo più di 70 richieste di volontariato in attesa di avviare il percorso abilitante. Dobbiamo convivere con questo virus ma imparando a fronteggiarlo, pur non sapendo quante saranno le persone che avranno bisogno del nostro aiuto. Come Croce Rossa ci siamo e ci saremo, soprattutto nei momenti come questi.
Un riconoscimento va espresso da parte della Croce Rossa ai nostri medici di base che sono stati molto presenti in questa emergenza”.

Roberto Merli (Medico di base)
“Come medico di famiglia lavoro cercando di equilibrare salute e socialità. Anche se la nostra regione è la seconda più colpita, Imola è andata discretamente bene, con ‘solo’ 5 decessi. La mortalità nei mesi di febbraio e marzo ricalca quella degli anni precedenti, così non è nel resto della regione in cui quest’anno si registra un forte incremento. Dobbiamo fare attenzione a non abbassare la guardia, perché negli ultimi giorni ho l’impressione che si stiano allentando le cautele: il virus si diffonde molto rapidamente e la presenza di persone asintomatiche è notevole, come ci dimostrano le rilevazioni statistiche eseguite sulla popolazione di Vo’ Euganeo. Non ci deve essere nessun rilassamento, come sembra invece stia avvenendo. Il messaggio fondamentale è mantenere la distanza e usare sempre tutti la mascherina per proteggerci reciprocamente e continuare a conservare la giusta attenzione.

All’inizio eravamo tutti frastornati e l’infezione era stata sotto considerata, ma si era diffusa in Italia già in gennaio. L’80 % dei pazienti la vivono in forma ridotta. Un 15 % viene ricoverato e un 5% muore. Come medici di famiglia all’inizio non sapevamo cosa fare, ma gli ambulatori si sono presto svuotati perché avevamo avvertito i pazienti che non avevamo i dispositivi di protezione. Per chi necessitava chiamavamo il 118 che interveniva presso le abitazioni.

Le RSA sono state subito chiuse preservando i pazienti anziani dal contagio. Gli anziani rimasti a casa sono stati aiutati dai figli. Infine, sono state create le Usca che hanno dato la svolta all’organizzazione: squadre di infermieri e medici che vanno a casa a dare l’assistenza. Oggi, ai primi sintomi sospetti si parte con la terapia giusta che arresta l’infezione ed evita il suo propagarsi. Anche il distanziamento sociale è stato utile. Ma non abbiamo potuto fare molti tamponi.

Gli ultimi, le persone più fragili, sono quelli che si trovano in rianimazione, dove restano senza alcun contatto coi propri cari fino al decesso. La privazione di calore, di vicinanza genera difficoltà psicologiche, genera ansia, depressione, insonnia nei pazienti. Molti giovani hanno dovuto interrompere i propri progetti di vita rimandando matrimoni, esami, lauree. Questo periodo particolare presenta varie sfaccettature, vari aspetti su cui sarebbe utile riflettere.

Anche dopo il 4 di maggio dobbiamo continuare a portare la mascherina perché rallenta il contagio, come ci dice la cronaca dei paesi investiti in questi mesi dalla diffusione. Lo dobbiamo sentire come un obbligo, come un comportamento indispensabile. Aiutano anche quelle chirurgiche. La prova della validità di una mascherina è che quando la indossiamo non dobbiamo riuscire a spegnere una fiammella. L’uso dei guanti è rischioso perché proteggono le mani ma possono contaminare lo stesso, ci fanno sentire protetti allentando l’attenzione. Dobbiamo ricordarci che i bambini sono un serbatoio del virus”.