L’hashtag “andrà tutto bene” ha riempito le pagine social, cancelli delle abitazioni e la vita in tempi di Coronavirus, ha svolto egregiamente il proprio compito rassicurante ma, ora che fase 2 è alle porte (e ciò che ne seguirà), le prospettive lo sono meno; ho sempre poco “sponsorizzato” l’hashtag fin dall’inizio dell’epidemia, troppi da subito gli anziani abbandonati al loro destino di principali vittime e troppi i giovani che, colpa dell’isolamento forzato, hanno dovuto interrompere scuola, percorsi formativi e redditi preziosi.

“Non è andato tutto bene”, già dopo la crisi Lehman perché le misure per stimolare l’economia hanno pesato sulle emissioni in termini drammatici per l’ambiente, mentre sarebbe andato tutto bene se i governi avessero propeso per altri scenari, quello ad esempio di costruire una società a emissioni zero con nuovi posti di lavoro nell’istruzione, assistenza sanitaria, alloggi a basso costo e l’energia pulita con la finalità di soddisfare bisogni immediati e al contempo di affrontare la crisi climatica.

D’altronde “non andava tutto bene” a febbraio coi primi decessi e continua ad andare male oggi nell’emergenza sanitaria che miete giornalmente i morti di una disgrazia aerea, è andata male fin dall’inizio quando dalla Cina arrivavano i primi segnali di restrizioni per chiedere alla gente sacrifici collettivi, come sta andando peggio oggi coi governi di mezzo mondo a evitare fallimenti di massa e a gestire una disoccupazione che sta crescendo a livello esponenziale; dall’oggi al domani solo nei comparti del turismo e dell’intrattenimento sono andati persi milioni di posti di lavoro e quel che è peggio, a rischio della vita, è che hanno conservato il posto lavoratori sottopagati (badanti, operatori sanitari, fattorini, addetti alle pulizie, ecc.).

“Non andrà tutto bene” se non si prenderanno in considerazione tanto i finanziamenti per il reddito di base e le tasse sul patrimonio quanto le politiche delle banche centrali che non dovranno più aiutare chi possiede grandi patrimoni ma bensì sostenere soprattutto il settore del servizio pubblico che prima o poi crollerà sotto il peso delle misure anticrisi.

Da Milano a Los Angeles, da New Dehli a Pechino con aerei a terra, traffico veicolare inesistente e industrie chiuse le emissioni dovute alle attività produttive si sono azzerate a vantaggio della salute di tutti e dell’ambiente, ma non durerà, perché questi benefici avranno vita breve in quanto la pandemia ha tolto l’attenzione dalla lotta ai cambiamenti climatici; i negoziati sul clima sono già stati posticipati e tutto quello che ha a che fare con l’ambiente sarà messo in stand-bye perché nei prossimi mesi si parlerà soltanto di Coronavirus e ripresa economica, costi quel che costi, e tutto (purtroppo) tornerà come prima.

Con lo spettro di entrare in una profonda depressione la sola Cina ha autorizzato a marzo più centrali a carbone di tutto il 2019, affossando la lezione che le restrizioni da Coronavirus hanno indotto a favore dell’ambiente sulla riduzione dell’uso dei combustibili fossili, ciò lascia immaginare che l’attenzione dell’opinione pubblica sarà distolta dal clima a causa dei timori che potranno gravare sull’economia, dimenticando che l’epidemia da Coronavirus è sì una tragedia ma è solo una minaccia che potrà durare mesi o qualche anno, a differenza invece delle ondate di calore, inondazioni e tutto quello che porterà il climate change che invece incomberà su di noi per generazioni.

(Giuseppe Vassura)