Repubblica si è sempre vantata di essere un giornale diverso, equanime, ma non neutrale, battagliero ma aperto. Ma soprattutto indipendente dai vari poteri. Con il cambio di proprietà, la sua redazione ha subito dovuto fare i conti con alcuni importanti cambiamenti. Già la liquidazione rapida e del tutto inusuale del direttore Carlo Verdelli ha fatto effetto. Come, del resto, la sua sostituzione con un uomo in qualche modo targato Fiat, Gedi, Elkann, Agnelli (scegliete voi quello che vi pare più adatto,  tutti vanno bene) come Maurizio Molinari, direttore del fu house organ della “Fabbrica italiana automobili Torino”. La redazione ha abbozzato, e del resto non poteva fare altro: Molinari è un professionista serio e capace. E poi non è che la direzione Verdelli avesse entusiasmato tutti. Non certo per motivi politici o editoriali ma tecnici. Aprire il giornale ogni giorno con un titolone urlato e a grossi caratteri aveva destato perplessità: “E il giorno che non c’è nulla da ‘sparare’?”. E in effetti alcuni titoloni di apertura di Repubblica ogni tanto destavano perplessità se non addirittura ilarità. Ma tant’è.

Poi, dopo la vendita dei De Benedetti figli, pochissimo interessati alla carta stampata, e l’idea di De Benedetti padre di dar vita a un nuovo giornale (“Domani” dicunt) e dopo la partenza di alcune firme di peso le cose parevano andare avanti. In modo più moderato, ma sempre laico, progressista, eccetera. Peccato che poi sia venuto fuori l’argomento del prestito richiesto da Fca (la nuova Fiat targata fu Marchionne).  Lì Repubblica ha dato il massimo: due articoli che dimostravano, l’utilità, la congruità, addirittura i benefici effetti per l’Italia intera di un prestito a un’impresa olandese, americana, tra breve francese (la fusione con Peugeot) che in Italia non paga nemmeno le tasse importanti.

Il Cdr, abituato ad altri tempi, ha subito richiesto di pubblicare un suo, si presume acuminato, parere. Ma il direttore ha detto no. Roba che se fosse successa in molti altri quotidiani avrebbe destato caos, articoli, prese di posizione, in primis di Repubblica.

Come sono andate le cose lo si sa. Riunione della redazione con Cdr dimissionario, presente Molinari e, alla fine, un comunicato che diluisce in dosi più che omeopatiche il disappunto. In più una difesa d’ufficio dell’indipendenza del quotidiano. Francamente imbarazzante.

La redazione ha dovuto abbozzare, come dicono a Roma. E non ci stupisce. Inutile che ora qualcuno dica che una redazione “de sinistra”, con tanti giornalisti de sinistra si sia arresa. I giornalisti di sinistra si sono arresi da mo’. Forse stufi di perdere tutte le battaglie, di veder classificare come progressisti delle formazioni di qualcosa che di sinistra non è, ma assomiglia a movimenti vagamente nazionalsocialisti (parlo, tanto per esser chiaro, dei 5Stelle). Magari, i colleghi di sinistra, sono sconcertati per la piega generale della stampa italiana, con le 6-7 interviste in serie a Di Maio del Corriere delle Sera targato Cairo, con ogni battito di ciglia di Salvini che ottiene spazi un tempo impensabili. In questo ambiente anche i colleghi di Repubblica si sono rassegnati. Amen. Ora non ci resta che vedere cosa ci riserverà il Domani (stando alle voci di corridoio: mica troppo).

(Marco Guidi)*
* Marco Guidi ha collaborato con alcuni dei più importanti quotidiani nazionali, dal Resto del Carlino, al Messaggero , al Mattino di Napoli.

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