Bologna. Qualche giorno fa, sui cellulari delle sardine è arrivata una comunicazione da uno dei quattro fondatori del movimento, Mattia Santori. Premessa. Da tempo, il nucleo operativo lavora alla stesura di un manifesto valoriale, capace di rappresentare la natura della forza riversatasi nelle Piazze a partire dal primo appuntamento felsineo. Per questo, tra gli interni ci si aspettava delle novità sul processo costituente.

Viceversa, nella ‘lettera’ veniva espressa, senza tanti giri di parole, tutta la frustrazione accumulata dal nucleo operativo nazionale. Venivano presentati, in poche parole, i grandi problemi dell’ultimo periodo. Il primo relazionale, ovvero la mancanza di fiducia interna. Il secondo politico, ovvero la divergenza di veduta tra le “correnti” interne – sennò che sinistra sarebbe? -, che ha portato i portavoce a riconoscere di essersi progressivamente allontanati dallo spirito iniziale, cadendo nella trappola più pericolosa della politica moderna: l’autoreferenzialità. “Più [si prende] la direzione politica più [si finisce] per imitare gli altri”. A rincorrere likes, né più né meno. Il messaggio si chiudeva con l’invito a collegarsi ieri sera (giovedì 28) per conoscere il futuro del movimento. “Non sarà la fine delle sardine. Al massimo uno spartiacque”.

Cosa sono le sardine?
Se si dovessero riassumere con un termine gli ultimi mesi del movimento, quello giusto probabilmente sarebbe “oscillazione”. Tra chi pretende un movimento politico (qualsiasi cosa voglia dire) e chi un fenomeno culturale (vale lo stesso), le direzioni intraprese sono state molteplici. A più riprese, il banco si è trovato in balia delle onde, in cerca di un baricentro impossibile, anche alla luce di tante incomprensioni. E qui la frustrazione, di tutti, su tutto. Solo negli ultimi giorni, le rivelazioni di Bonaccini e lo scoop del Fatto Quotidiano sugli incontri con Zingaretti hanno ulteriormente alimentato le perplessità nei confronti di un movimento “dal basso” sempre più rappresentato dai media come calato dall’alto, invenzione di un establishment in grado di manipolare, sotto mentite spoglie, menti e corpi di migliaia di ingenui manifestanti. Fantascienza? Una cosa sicuramente non lo è. Lontane dall’offline, e in mancanza di un piano definito per il futuro, le sardine sono rimaste, per tanti, ’soltanto’ una pagina Facebook, spesso fine a sé stessa. Nonostante la riuscita dell’evento “6000 piantine”, giudicato da tanti comunque non all’altezza delle speranze sorte nelle prime Piazze. La chiamata doveva bloccare il pendolo, mettere un punto. Un punto d’incontro.

Chi sono le sardine?
Per il momento, questo punto è stato soltanto annunciato. Anche se, in realtà, chi ha seguito il movimento fin dalle origini dovrebbe già conoscerlo piuttosto bene. Nei prossimi giorni, esso sarà ufficializzato nel manifesto, che verrà divulgato in una serie di post sul profilo social del movimento. Sarà una cornice di principi, cui potranno aderire tutti i singoli che si riconosceranno nello spirito sardinesco. Quello antifascista. Quello dell’innovazione, della creatività e dell’inclusione. In sintesi:

“Le sardine saranno sempre un fenomeno propedeutico alla politica, che sfrutta la creatività per coinvolgere e stimolare e trasmettere passione per la partecipazione attiva e consapevole alla vita politica del proprio territorio. Le sardine definiscono nei fatti la propria linea politica. Le sardine accolgono tutti coloro che vogliono dare un senso politico alle proprie azioni, senza sentirsi a disagio per non avere un’idea precisa su ogni tema sociale o economico.”

In questo passaggio del discorso di ieri è racchiusa tutta l’essenza del banco, del suo passato, del suo presente e del suo futuro. Oltre a riflettere il pensiero dei fondatori, le parole pennellano il quadro storico nel quale ci troviamo, in quanto cittadini italiani, europei. Di sinistra, si intende. Invitano a guardarci allo specchio, e a porci delle domande. Ad esempio. Perché in un’epoca di disuguaglianze mostruose si sente il bisogno di un fenomeno propedeutico alla politica? Perché con il pianeta che attraversa una crisi sistemica dovuta al riscaldamento globale c’è chi dubita ancora del significato politico delle nostre azioni quotidiane? Perché un cittadino dovrebbe sentirsi a disagio a discutere nella sua comunità, con la sua comunità, per la sua comunità?

In occasione delle elezioni regionali, le sardine non hanno fatto niente di più di questo. Spingerci alla riflessione. Ora forse facciamo fatica a ricordarlo, ma in una regione con la tradizione dell’Emilia-Romagna, le elezioni del 2014 avevano visto meno del 40% dei cittadini recarsi ai seggi. E cinque anni dopo, la strategia del primo partito nazionale (in quanto a consenso) è stata un bombardamento mediatico su una cittadina di 10mila abitanti, quando la popolazione regionale sarebbe di quasi cinque milioni di persone. E poi. In un Paese con un debito pubblico che ci fa tremare a ogni dichiarazione fuori posto e una disoccupazione giovanile stabilmente al 30% (per non parlare della qualità del lavoro), il dibattito pre Covid-19 fluttuava tra le esternazioni gastronomiche e gli ammiccamenti fascisti dello stesso, solito, leader politico. Invece di discutere dei diritti delle donne, dei giovani e dei migranti, abbiamo assistito a fior di dibattiti sui vaccini. In una società in cui il lavoro non può più essere considerato l’unico mezzo per procurarsi un reddito, un presidente del consiglio ci ha detto che l’unico ostacolo sulla strada della realizzazione era il nostro divano. Sembrano ricordi lontani, soprattutto ora. Ma seppur sbiaditi, fanno tutti parte della medesima realtà. Ecco, in questo contesto, molti si sono illusi, in maniera comprensibile, che le sardine potessero offrire una soluzione. Ecco (x2), le sardine una soluzione in mano, in pinna, non ce l’hanno. Al contrario, sono probabilmente l’unico movimento al mondo la cui condizione di esistenza si sovrappone inesorabilmente a quella di inesistenza.

La verità è che le sardine sono state, sono e saranno sempre una scusa per sconfiggere l’indifferenza. Non sono le sardine ad essere reali, ma le persone. Le sardine sono semplicemente una piattaforma su cui i liberali potranno incontrare i comunisti, i moderati discutere con i radicali. Per provare a riflettere su qualcosa di diverso e utile, in modi nuovi. Se non succederà niente, sarà stata solo una bella nuotata. In ogni caso, e a prescindere dal banco in cui ci troveremo, saranno sempre quelle stesse domande a tormentarci.

Il futuro dirà se ci sarà e, nel caso, chi farà parte di quel ‘ci’.

Il primo punto del manifesto
“Le Sardine credono nel protagonismo delle cittadine e dei cittadini. Promuovono la cittadinanza attiva come pratica politica, come antidoto all’indifferenza, come forma di resistenza ai populismi, ai sovranismi, agli individualismi e ai personalismi di ogni sorta”.

(Alberto Pedrielli)