Il 31 agosto 1980 Lech Wałęsa, sorridente sotto i suoi lunghi baffi neri, apponeva la sua firma sull’accordo che poneva fine allo sciopero dei cantieri navali di Danzica, Polonia, con il riconoscimento da parte del governo comunista di sindacati indipendenti e autonomi. Lo avevamo imparato a conoscere pochi giorni prima, operaio, con la spilla della Madonna Nera di Częstochowa sul bavero della giacca.

Lech Walesa nel 1980 (Foto Wikipedia)

“Abbiamo ottenuto tutto il possibile nelle circostanze attuali. Il resto seguirà”, dichiarò mentre, facendosi largo tra due ali di folla, arrivò al tavolo della firma con un’enorme penna, su cui spiccava l’effigie di Giovanni Paolo II.

Oggi, da quelle parti, è la Bielorussia che ha intrapreso una strada simile.

“L’Europa, prima di incoraggiare la lotta per la libertà del popolo bielorusso, deve essere pronta ad aiutarlo”, ha dichiarato lo stesso Wałęsa, invitando in un’intervista su Repubblica a “sviluppare al meglio il know-how della rivoluzione non violenta per la libertà”. La ricerca di una terza via tra l’intervento e la perdita della Bielorussia: quella di una transizione pacifica senza cambiare il quadro geopolitico, per la quale c’è bisogno dell’intelligenza della diplomazia russa, ma anche della prudenza degli europei. Per la Bielorussia, insomma, il modello deve essere quello della transizione polacca, che da Danzica ha preso il via mostrando al mondo che una via di cambiamento pacifico era possibile.

Lo storico Bronisław Geremek, protagonista di quelle vicende polacche, ha affermato che l’Ottantanove polacco aveva dato “il colpo di grazia alla lunga, bicentenaria storia della rivoluzione francese”, ponendo fine all’idea che per cambiare la storia servisse la violenza. Anche se negli anni seguenti “esportare la democrazia in Medio Oriente” non si è rivelato un grande affare.

L’elezione di Giovanni Paolo II nell’ottobre 1978 e la sua prima visita di in Polonia nel giugno 1979 avevano dato la spinta ai polacchi, che smisero di avere paura e iniziarono a sfidare il potere sovietico. Le grandi masse che diedero il benvenuto al Papa divennero degli organismi sociali indipendenti: folle ordinate, non più di fedeli ma di operai in sciopero, furono le protagoniste dell’agosto di Danzica.

Il 14 agosto Danzica balzò sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo: i cantieri navali, orgoglio della Polonia socialista, erano stati occupati dagli operai che chiedevano il reintegro al lavoro di una loro collega, Anna Walentynowicz, licenziata per motivi politici. Ben presto la protesta si estese alle altre aziende del litorale baltico e le richieste degli operai, fissate in 21 punti, vedevano al primo posto il diritto di fondare un sindacato libero e indipendente dal potere politico. I lavoratori inoltre chiedevano libertà di coscienza e di religione, libertà di parola e accesso ai mass media, trasmissione per radio della messa domenicale, liberazione dei detenuti politici.

Era una vera rivoluzione che nasceva e si fondava sulla solidarietà, e Solidarność divenne il nome del primo sindacato libero di un Paese socialista.

Esso arrivò a contare 10 milioni di iscritti, ma soprattutto aggregò tutte le forme di opposizione che si erano manifestate lungo gli anni: dal cattolicesimo sociale a quello più tradizionale e nazionalista, fino alla sinistra laica e alle istanze riformatrici del partito comunista.

Da quelle giornate, dopo alterne vicende, si arrivò al 4 giugno del 1989, quando in Polonia accadde un evento straordinario, che precedette di qualche mese la caduta del Muro di Berlino. Dopo lunghe trattative, per la prima volta in un paese del blocco socialista, si svolsero elezioni parzialmente libere, da cui poi nacque il primo governo polacco non comunista, guidato da Tadeusz Mazowiecki, intellettuale cattolico ed esponente di primo piano dell’opposizione al regime, primo consigliere di Lech Walesa nei cantieri di Danzica.

Oggi, in una terra vicina, una nuova generazione di giovani che sognano il cambiamento ci fa sperare che sia sempre possibile ottenere libertà e democrazia per ogni popolo europeo e del mondo.

Questa generazione chiede all’Europa di essere ascoltata.

(Tiziano Conti)