Il referendum costituzionale confermativo del taglio dei parlamentari, quindi senza quorum da raggiungere anche se noi sosteniamo che i cittadini farebbero sempre bene a informarsi e votare quando sono chiamati a esprimersi su argomenti importanti, è giustamente definito confermativo perché si tratta di una decisione già presa in parte dal Parlamento ben 4 volte con maggioranze alte e nell’ultima lettura alla Camera con 553 SI, 14 NO e 2 astenuti.

E’ quantomeno curioso che proprio ora, nell’imminenza del voto con election day del 20 e 21 settembre insieme con quello in 7 Regioni e circa mille Comuni fra i quali Imola e Faenza, gran parte di quegli stessi partiti siano divenuti alquanto timidi, titubanti e parecchi rappresentanti di essi abbiano deciso di schierarsi ufficialmente per il NO. Tagliarsi la poltrona da sotto il sedere è assai difficile per chi percepisce emolumenti astronomici, sui 13mila euro per i deputati e sui 15mila al mese i senatori. Ci sono cittadini che faticano a guadagnarli in un anno di faticoso lavoro.

Inoltre, con il SI’ non si stravolge la Costituzione, ma la si aggiorna tanto più che l’attuale numero di 630 deputati e 315 senatori (più 5 nominati dal Presidente della Repubblica) non risale alla stesura della Carta nel 1948, ma fu deciso nel 1963 dal IV governo Fanfani quando il potere legislativo era esclusivo del Parlamento, mentre oggi ci sono leggi  della Ue e delle Regioni oltre che troppi decreti del Governo. Ma questi ultimi non dipendono dal numero dei parlamentari che resterebbe alto pure con il taglio che prevede la presenza di 400 deputati e 200 senatori (in totale 600) più 5 senatori a vita. Si avrebbero 230 deputati e 115 senatori in meno.

E qui scatta la rivolta del fronte del NO, mentre io sostengo le ragioni del SI, ovvero la questione della rappresentanza fra eletti ed elettori che diminuirebbe troppo facendo temere per la democrazia. Ricordo che l’unica altra grande democrazia a bicameralismo perfetto come la nostra, per di più presidenzialista, è quella degli Usa con un Congresso che ha 535 rappresentanti fra deputati e senatori (65 in meno rispetto al nostro taglio) che non si sono mai sentiti pochi. Ma ammettiamo pure che la democrazia statunitense sia diversa dalla nostra e guardiamo  ai paesi europei a noi vicini.

Consideriamo il numero di abitanti dei singoli Stati membri dell’Unione europea nel 2018, come riportati da Eurostat e mettiamoli in rapporto al numero di deputati presenti nei 28 Parlamenti. È vero che, con 400 deputati e poco meno di 60,5 milioni di abitanti, l’Italia avrebbe un rapporto deputati/abitanti di 1/151 mila (oggi, con 630 deputati, è invece di 1/96 mila). Dietro di noi avremmo la Spagna, con un rapporto di 1/133 mila, la Germania, con un deputato ogni 117 mila abitanti, la Francia, con un deputato ogni 116 mila abitanti, l’Olanda, con un deputato ogni 115 mila abitanti e il Regno Unito, con un deputato ogni 102 mila abitanti. Un rapporto maggiore, non scandaloso poiché 151 abitanti non sono molti di più di quelli del Circondario imolese.

Ma abbiamo fatto i conti solamente con i 400 deputati, mentre a nostro giudizio vanno inclusi pure i senatori. Perché? L’Italia è l’unico Paese nella Ue, insieme alla Romania, in cui i senatori rappresentano gli elettori in modo pressoché identico ai deputati, e hanno sostanzialmente le medesime funzioni. Se si considera il rapporto tra parlamentari eletti a suffragio universale dal popolo italiano (400 deputati e 200 senatori) che hanno entrambi funzioni di rappresentanza dei cittadini, che devono approvare le leggi e dare la propria fiducia al governo in rapporto agli abitanti, l’Italia, anche dopo il taglio dei parlamentari, non sarebbe in una posizione anomala nella Ue ma, anzi, si troverebbe in una condizione paragonabile a quella degli altri grandi Paesi europei.

Chiaramente la vittoria del SI’ darebbe una spinta decisiva, necessaria verso una ridisegnazione dei collegi e quindi verso una nuova legge elettorale dopo il Porcellum (così definito da uno dei suoi stessi estensori, il leghista Roberto Calderoli) e il Rosatellum delle ultime elezioni che ha permesso l’ingresso a Roma di oltre il 60% dei parlamentari attraverso listini bloccati decisi dall’alto dai partiti senza alcuna possibilità di scelta da parte dei cittadini. L’attuale maggioranza di governo si è impegnata, se vincerà il SI’, a proporre una legge elettorale di tipo proporzionale con le preferenze e uno sbarramento al 5% (ora qualcuno vorrebbe ridurlo al 3%) e a rifare i collegi elettorali superando la base regionale del Senato. Insomma, i parlamentari saranno chiamati (a meno di altri ripensamenti) a far meglio del Porcellum e del Rosatellum, non ci vuole davvero  molto. Da tale punto di vista, l’aspirante parlamentare dovrebbe camminare, ascoltare e convincere elettori di un collegio leggermente più grande per essere eletto, dovrebbe guadagnarsela di più e sarebbe più riconoscibile e responsabilizzato quando esprime il proprio voto, sarebbe più difficile per lui nascondersi fra i tanti.

Basta con una pletora di quasi mille parlamentari di cui quasi un terzo diserta una votazione su tre e solamente il 10% assomma più di un incarico. Basta con quelli che, invece di stare a Montecitorio o Palazzo Madama, fanno ormai gli ospiti fissi nei salotti televisivi dissertando di tutto e di più. Certo, ci sono anche quelli che lavorano e duramente, formulano progetti di legge, mozioni e ordini del giorno, sarebbero preservati meglio perché i nullafacenti o quasi, in mezzo a meno persone, sarebbero più facilmente identificabili.

Infine, i costi della politica. E’ vero che il risparmio sarebbe più che altro simbolico, un centinaio di milioni di euro all’anno, cinquecento a legislatura, ma sarebbe un segnale importante specialmente oggi, dopo lo scandalo di alcuni parlamentari che hanno chiesto il bonus da 600 euro pur vantando elevati emolumenti.

(Massimo Mongardi)