Venezia, 5 settembre 2020. The man who sold his skin. Un film brillante della regista tunisina Kaouther Ben Hania. Il Protagonista maschile, Sam Ali, un giovane siriano sensibile e impulsivo, fugge dalla guerra (Raqqa) lasciando il suo paese per il Libano. Per poter arrivare in Europa e vivere con l’amore della sua vita, accetta di farsi tatuare la schiena da uno degli artisti contemporanei più intriganti e sulfurei del mondo.
Trasformando il proprio corpo in una prestigiosa opera d’arte, Sam finisce per rendersi conto che la sua decisione potrebbe non significare la libertà.
La pellicola vanta la presenza, costante, di Monica Bellucci (con una parrucca biondo platino). Protagonisti il superbo Yahya Mahayni, volto e sulla cui schiena è impressa “a vita” l’opera d’arte. Con lui Dea Liane, sconosciuta fino alla proiezione della pellicola.
The Wan Who Sold His Skin – semi-citazione dei Nirvana – è un apologo che mostra, ci fosse bisogno di conferma, la mercificazione del corpo e della vita in generale.
Un film brillantissimo che mette a nudo i problemi del “mondialismo”, del tutto merce, e delle sue conseguenze.
“Il progetto è nato – dice la regista – dall’incontro di due mondi. Il mondo dell’arte contemporanea, e in particolare l’opera dell’artista belga Wim Delvoye (Tim, 2006), e il mondo dei rifugiati politici, in particolare i rifugiati siriani che devono combattere con documenti e permessi di soggiorno… Mi sono chiesta: ‘Cosa accadrebbe se… un artista famoso offrisse a un rifugiato di diventare una sua opera per ottenere la libertà di movimento?’ Così è nato il viaggio di Sam Ali: un giovane rifugiato pieno di passione gettato in un mondo cinico. Un uomo normale costretto a un’avventura straordinaria. Il film è anche una storia d’amore in cui il protagonista, separato dalla donna che ama, perde la dignità – e la pelle – per cercare di raggiungerla. E ancora, cosa significa essere liberi quando il gioco è truccato, quando non si ha la possibilità di scegliere? The Man Who Sold His Skin è un’allegoria sulla libertà personale in un sistema iniquo e tratta l’ampio spettro di significati legati ai problemi del nostro mondo”.
Finale con colpo di scena. Al male (almeno al loro) c’è un rimedio. E, forse, i protagonisti di questa storia dimostrano con assoluta chiarezza e semplicità che anche al male del mondo potrebbe esserci.
(Verner Moreno)