Venezia. “Non ci sarà mai più la neve” (Śniegu już nigdy nie będzie) è il film polacco presentato martedì 8 settembre in concorso alla Mostra del cinema di Venezia. La trama s’incentra su un massaggiatore dell’Est, Alec Utgoff (attore ucraino naturalizzato inglese conosciuto anche a Hollywood), che entra nella vita di alcuni abitanti di un ricco quartiere residenziale, i quali però trasudano tristezza e afflizione. Grandi case uguali senza personalità, con all’interno persone svuotate di scopo. Le mani del misterioso nuovo arrivato, proveniente dalla radioattiva Chernobyl, hanno proprietà curative, i suoi occhi penetrano le loro anime. Alle loro orecchie, il suo accento russo suona come una melodia del passato, un ricordo di un’infanzia più sicura e protetta. Riesce a farsi benvolere dalla comunità, cambiando le loro vite.

Alec Utgoff Credits LavaFilms

Il film è diretto da Małgorzata Szumowska e Michał Englert. La regista nel 2015 ha vinto l’Orso d’argento per la miglior regia al Festival di Berlino per il film “Ciało” e nel 2018 il premio speciale con “Mug”. Per Michał Englert – ex marito della Szumowska – è il primo film da regista, dopo aver lavorato come direttore della fotografia e sceneggiatore. “I protagonisti sono concentrati su un piccolo mondo rassicurante, che danno per scontato. Tuttavia, dietro le apparenze, sono alla ricerca di una dimensione più spirituale – affermano i registi – Finanziariamente ricchi e spiritualmente poveri, sono sopraffatti da una brama inconscia”. Film misurato e ipnotico che mette al centro la fisicità, per raccontare l’inconscio. Può piacere o non piacere.

Raccontare la quotidianità di chi vive lungo il confine che separa la vita dall’inferno”,Gianfranco Rosi, il terzo autore italiano in concorso, offre le chiavi per interpretare “Notturno”, presentato sempre martedì 8 settembre alla Mostra. Kurdistan, la Siria e l’Iraq sono i posti dove Rosi si è recato girando per tre anni a raccogliere le immagini proposte nel suo documentario. Sono vari episodi in cui il denominatore comune, puntualizzato spesso dagli spari e bagliori in lontananza, è il doloroso ma inevitabile inserimento della guerra e delle sue tremende conseguenze nelle singole esistenze di questi cittadini mediorientali.

Così lasciando la violenza sullo sfondo, Rosi narra del giovane Alì che si adatta ai lavori più umili per aiutare i suoi fratelli; delle madri curde che alzano i loro lai nelle carceri vuote dove sono stati uccisi i loro figli; dei ricoverati di un centro psichiatrico che mettono in scena uno spettacolo sulla democrazia; delle soldatesse che si allenano.; dei bambini che tornano a scuola per ricostruirsi un domani. Immagini anche visivamente belle, che riportano il “fascino” dei luoghi e delle persone incontrate, senza dare risposte politiche o sociali, perchè non significano niente. Consigliabile ma di non facile lettura (notturno).

Il tema dei rapporti tra israeliani e palestinesi, da sempre al centro dei suoi film, è declinato all’interno di un locale notturno di Haifa (il Club Fattoush nella realtà) dove si intrecciano le storie di quattordici personaggi. “Laila in Haifa” di Amos Gitai: il regista torna nella sua città natale, forse quella più aperta ed accogliente di Israele, dove la convivenza tra israeliani e palestinesi è una realtà quotidiana, ragionevole e pacifica. Si narra del girotondo di incontri di una serata in un noto locale notturno, diretto dalla trentenne Laila. I destini delle persone presenti nel locale restano inespressi, tra voglia di lasciarsi i problemi alle spalle e speranze di cambiamento in una terra segnata da tensione costante. Confuso e non risolto.

La regista cinese Ann Hui ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera. Nell’occasione è stato presentato fuori concorso il mélo “Love after Love” ambientato nella Hong Kong poco prima della Seconda guerra mondiale.

Una confezione inequivocabilmente cinematografica, produzione lussuosa, interpreti dello star system cinese tra cui spicca Fay Yu. Ma anche una storia ben raccontata. Una giovane, Sandra Ma, non ha i soldi per continuare gli studi e si risolve a chiedere aiuto alla ricchissima zia. Si innesca una girandola di tradimenti, adulteri, o solo semplici, spietati corteggiamenti: Ann Hui mette in scena oltre al classico triangolo amoroso, un contorno di altre relazioni pericolose nell’ipocrita alta società di questi nuovi ricchissimi cinesi. Un film da botteghino nel senso migliore del termine.

Al giro di boa della Mostra è difficile fare un pronostico: si confrontano cinematografie, sensibilità, generi diversi. E’ arduo paragonare la storia dickensiana, ma ambientata ai giorni attuali, dell’iraniano “Khorsid” (I figli del sole), con il dramma contemporaneo e bostoniano di “Pieces of a woman”: sono lontani nello spazio e nel tempo. Oppure un documentario come “Notturno”, in cui si filmano pezzi di vita reale, con una ricostruzione storica in bianco e nero e schermo 4:3 dell’Unione Sovietica di “Dorogie tovarischi” (Cari compagni). Sicuramente diventerà difficile assegnare la coppa Volpi: troppe concorrenti femminili tutte all’altezza, da Romola Garai di “Miss Marx”, a Julia Vysotskaya di “Cari compagni” a Jasna Duričić, l’Aida di “Quo vadis, Aida?”, ma anche la duplice Vanessa Kirby di “Pieces of a woman” e di “The world to come”; viceversa sono finora pochi gli interpreti maschili tra cui Pierfrancesco Favino di “Padrenostro” e Alec Utgoff di “Śniegu już nigdy nie będzie” (Non ci sarà mai più la neve). D’altronde le storie sono quasi tutte al femminile, anche quando il regista non lo è.

(Caterina Grazioli)