In ottobre per l’Accademia italiana della Cucina (Istituto culturale della Repubblica italiana) è il mese della “Conviviale Ecumenica”, una cena che vede nello stesso giorno, il terzo giovedì del mese, riuniti le accademiche e gli accademici di tutto il mondo a tavola nello stesso orario compatibilmente ai diversi fusi orari.
Ci si riunisce con lo stesso tema gastronomico per tutte le Delegazioni, diverso ogni anno. Quest’anno era dedicato ai “Fritti, frittate e frittelle, nella cucina regionale Italiana”.
Un po’ di storia della frittura
I primi furono gli egizi, con la pasta dei dolci fritta nel grasso, come si legge in “Storia dell’alimentazione” di Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari, ma bisogna attendere il Medioevo perché il fritto diventi prodotto di uso comune tra le classi elitarie, che “friggevano nel lardo carne e verdure, mentre nell’olio il pesce”.
La tecnica della cottura
Come sia nata questa tecnica di cottura resta un mistero. Apicio (Marco Gavio Apicio è stato un gastronomo, cuoco e scrittore romano vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.) racconta di pietanze fritte nel miele cotto, oppure in una miscela di garum (il garum è una salsa liquida di interiora di pesce e pesce salato che gli antichi Romani aggiungevano come condimento a molti primi piatti e secondi piatti), olio e vino, o ancora garum, acqua e olio (quello che oggi considereremmo un soffritto), ma i testi al riguardo sono pochi e non sempre chiari. Per i romani, infatti era ben diversa da come la interpretiamo oggi. Ed è stata una delle ultime tecniche a evolversi. Come spiega Maurizio Bettini nel capitolo “Del fritto e d’altro” nel volume “Homo Edens”, i nostri antenati non amavano particolarmente i cibi fritti. Tant’è che sempre Apicio racconta che il liquido di cottura veniva poi versato sul cibo così da renderlo di nuovo morbido e succulento: insomma, la croccantezza, oggi sinonimo di qualità per un buon fritto, non era contemplata.
Occorre ricordare, inoltre, che l’olio d’oliva era utilizzato dai romani principalmente per l’illuminazione, la cosmesi, e i rituali religiosi, oltre che per proteggere i legionari dal freddo, mentre erano poco noti i suoi vantaggi in cucina. Infatti l’olio d’oliva al tempo aveva un sapore piuttosto acre e irrancidiva facilmente, per questo era poco apprezzato in ambito alimentare.
La frittura nel Medioevo
La frittura ha iniziato a prendere piede dapprima nel Medioevo e poi durante il Rinascimento, con l’introduzione dei grassi animali, appannaggio dei ceti più abbienti. Arrivando a oggi ogni regione ha le sue tradizioni, e così si va dallo gnocco fritto emiliano alle olive all’ascolana marchigiane, i fiori di zucca romani, il cuoppo e la pizza fritta napoletana, i panzerotti pugliesi, gli arancini siciliani e le seadas sarde. Senza dimenticare le specialità dei giorni di festa, dalle zeppole e i bignè di San Giuseppe agli struffoli.
Il Carnevale
Il momento in cui il fritto trova il suo massimo risalto in Romagna è durante il Carnevale, una festa che era molto sentita e in particolare il giorno del Martedì Grasso. Si faceva tardi, si eccedeva con il vino e si ballava tutta la notte, senza pensieri. E a tavola si facevano grandi scorpacciate, soprattutto dei tradizionali dolci fritti nello strutto. Dal sabato grasso al martedì il Carnevale viveva il suo momento culminante e coinvolgeva tutti, dai più giovani ai più anziani, si mangiava abbondantemente piadina fritta, salciccia, carne di maiale in genere e dolci.
Oggi sopravvive soprattutto la tradizione dei dolci, quasi tutti fritti in olio o nello strutto, tra i quali possiamo citare tra i più famosi: i raviolini variamente ripieni, le sfrappole, le tagliatelle fritte e le castagnole.
Il fritto misto
Un must dell’estate in tutta Italia il fritto misto, ma in Romagna è una vera e propria religione. Per gustarlo al meglio il limone non va messo e va presentato con una finitura di sale sopra (di Cervia): è un simbolo della cucina e si prepara come un rito.
Va ricordato che il fritto di pesce, nella versione odierna, ha una storia meno antica rispetto ad altre specialità. Perché se è vero che nella cucina popolare e di strada, le alici, i ‘pescetti’ o i calamaretti sono presenti già nel Medioevo, il piatto ha assunto una sua dignità, nelle case borghesi come quella dei Conti Manzoni di Lugo, solo a metà dell’800.
Non è un dettaglio, la frittura va mangiata immediatamente.
La frittata è probabilmente una delle preparazioni più antiche e diffuse, tipico piatto della cucina povera e del riuso d’altra parte le uova sono un alimento povero che si presta bene a mille preparazioni. Sempre in “Storia dell’alimentazione” si legge siano stati gli arabi a portare la frittata in Europa (pare che uno dei piatti più ricercati in Oriente fosse il tirrîkh, un piccolo pesce di lago tritato e proposto nella frittata), ma quel che è certo è che questa preparazione, il cui nome deriva dal latino frixùra (fritto), ha sbizzarrito la fantasia di molti cuochi.
Le frittate
Per finire un breve elenco di frittate già in uso nell’800 (da casa Manzoni in Lugo di Romagna): frittata di funghi, di uova, al lardo, al prosciutto, al formaggio, alle aringhe, alle croste di pane, di riso, di maccaroni, alla pancetta, di patate, del povero di albicocche.
Frittelle, di patate, di tonno, di mele cotogne, di farina di castagne, di polenta, di Cervia, di castagne, dei pastori, di pomidoro, di fichi, di pesche, di prugne, di mele.
(Pierangelo Raffini)