Imola. Quando ti trovi di fronte un’attività che compie 120 anni di vita sarebbe da presuntuosi pensare di aggiungere qualcosa a una storia ultracentenaria. Se poi parliamo di un giornale, beh, la storia sta tutta nelle sue pagine, nel suo percorso, in quello fatto e in quello ancora da fare. Sta nella bellissima pubblicazione “Con la mente e con il cuore” che, grazie da un grande lavoro di ricerca storica, ripercorre tutto il percorso dai primi passi con L’Eco della Diocesi a quello che oggi è Il Nuovo Diario Messaggero.

Come scrive il suo direttore Andrea Ferri nell’introduzione al volume “I centoventi anni di vita del Il Nuovo Diario Messaggero intersecano i punti nodali della storia italiana contemporanea, colti dal peculiare angolo prospettico di una città romagnola di provincia, con il retaggio di un passato antico e significativo, dalle potenzialità in parte inespresse, ricca di fermenti sociali, ecclesiali e civili”.

E quella storia la ritroviamo tutta nelle pagine di “Con la mente e con il cuore”, con la capacità di incrociare la grande storia con quella quotidiana di una piccola comunità. Quella storia però che ognuno di noi vive quotidianamente e che ha fa ormai parte del Dna di chi è nato in questa realtà. Quella piccola Storia, senza la quale non vi sarebbe la grande Storia. Ecco perchè questo libro è veramente didattico, ci aiuta a capire molto di quello che siamo oggi. E lo fa con leggerezza, a a dispetto delle sue oltre 500 pagine, mescolando con sapienza immagini (tante, molto belle e significative), testi e stralci storiografici. Una sorta di racconto di famiglia, dove la famiglia è l’intera comunità nella quale viviamo.

 

Il video che ricorda i 120 anni

A questo punto a noi non resta che aggiungere qualche ricordo di pezzi di strada percorsi assieme.

Il ricordo

Era il lontano 1989 quando entrai per la prima volta da aspirante giornalista nella vecchia sede del “sabato sera”. Non ci volle molto a capire che il giornalismo a Imola viveva sulla contrapposizione storica tra “sabato sera” e “il nuovo Diario Messaggero”, a cui si era aggiunto, come quotidiano, il Carlino. Tuttavia erano ormai alle spalle gli anni dello “scontro” frontale, quando i due giornali vivevano in simbiosi le differenze politiche tra Pci e Dc. All’inizio degli anni ‘90 si viveva un’aria nuova anche sul fronte politico e i giornali, da tempo, avevano comunque cercato vie autonome, pur restando ciascuno nel proprio ambito culturale e sociale. Il giornalismo locale stava vivendo un periodo di crescita e il confronto era più sulla capacità di essere sul pezzo, di anticipare il concorrente sulle notizie, che sulle differenze editoriali e politiche.

In quegli anni “Il nuovo diario” era guidato da mons. Francesco Giacometti, una delle figure più importante della Chiesa nel territorio della Diocesi, avendo ricoperto per lunghi anni due figure fondamentali: quella di Vicario di alcuni vescovi e di direttore del settimanale cattolico. Il mio ricordo era quello di una persona semplice, disponibile, ma carismatica. Capace di svolgere il suo lavoro da giornalista con competenza e passione. Inutile negare che il venerdì mattina, quando il giornale usciva in edicola e arrivava nelle buchette degli abbonati, in redazione una delle prime cose era quella di guardare i giornali “concorrenti” e ciò che mi colpì, fin dai primi momenti della mia attività giornalistica, era come “Il nuovo diario” riuscisse a coniugare l’informazione “di servizio”, quella legata alle attività religiose e sociali della Diocesi, con l’informazione generalista, quella capace di raccontare le città e i paesi del nostro territorio. Un grande merito di don Giacometti, che riusciva ad evitare il rischio “bollettino” combinando in maniera esemplare le due esigenze.

Come poi non dimenticare don Marco Renzi con il quale, da subito, si stabilì un buon rapporto, anche perché fummo direttori praticamente negli stessi anni e, soprattutto, eravamo ambedue juventini. Frequenti erano gli scambi di opinione sulla situazione del territorio, su come andava modificandosi l’informazione, sul valore di avere una pluralità di voci. Erano anni in cui si iniziavano a intravedere grandi cambiamenti tecnologici, si parlava sempre di più di internet, di siti, si intravedeva la possibilità di fare una informazione online che accompagnasse quella tradizionale cartacea. Posso con certezza dire che i due settimanali erano accomunati da una curiosità verso il nuovo e tanta voglia di sperimentare.

Ma un altro fronte avvicinava i due giornali. Quel tentativo, forse lento, ma costante di “laicizzare” la nostra informazione, meno legata alle culture di riferimento e più attenta ai bisogni dei territori. Una sorta di antenne capaci di captare umori, sensibilità, problematiche che emergevano da una società in rapida evoluzione. Al “sabato sera” ciò era rappresentato da un direttore che non aveva in tasca tessere di partito, al “Diario” l’avvento alla direzione di un laico, il professore Evaristo Campomori.

Io avevo da poco lasciato la carica di direttore responsabile, per assumere quella di direttore editoriale della Cooperativa Bacchilega, editore della testata “sabato sera”. Avevo meno occasioni di confronto giornalistico, ma mi sembra di potere affermare che Campomori sia stato capace di assecondare in maniera leggera e competente il nuovo percorso avviata dal suo giornale con la scelta di una guida laica.

La mia esperienza giornalistica al “sabato sera” si concluse nel 2012, quando da poco più di un anno la guida del “Diario” era stata assunta dal professore Andrea Ferri. Io abbandonai la carta stampata per dedicarmi allo sviluppo di un progetto unicamente online, ed ebbi così modo di guardare con più distacco alle esperienze giornalistiche del territorio. Non so se i numeri, che però non sempre sono tutto, gli stiano dando ragione, ma mi sembra di potere affermare che “il nuovo Diario Messaggero” stia affrontando con successo le sfide lanciate dai nuovi strumenti della comunicazione e dalla conseguente esigenza, di modificarne i linguaggi. Mi piace la capacità di far convivere l’informazione settimanale con quella ultra quotidiana della rete, frutto di una ricerca non banale che va al cuore di ciò che l’informazione dovrà essere nei prossimi anni.

Non mi sembra nei miei anni al “sabato sera” di avere mai vissuto in maniera contrapposta il rapporto con “Il nuovo diario”, sono convinto che da ogni esperienza ci sia sempre qualcosa di positivo da cogliere, soprattutto se in tutti noi c’è la consapevolezza del valore del lavoro che facciamo e della necessità che la convivenza di una pluralità di voci diventa ricchezza del territorio.

Se poi parliamo di giornali che hanno alle spalle lunghi anni di vita, e “Il nuovo diario” ne festeggia ben 120, allora significa che in qualche modo il nostro ruolo lo abbiamo svolto dignitosamente.

(Valerio Zanotti)