Figlia di immigrati di prima generazione. Madre indiana, padre jamaicano, Kamala Harris è la prima donna vicepresidente degli Stati Uniti. E’ l’inedita novità che la vittoria elettorale del Partito democratico in America si porta alla direzione di una delle più grandi potenze del pianeta. Al risultato elettorale che ha tenuto il fiato del mondo sospeso per giorni, hanno concorso in modo determinante le donne. In particolare le donne di colore.

Kamala Harris (foto Wikipedia)

Dopo alcuni tentativi di portare ai vertici della Casa Bianca una donna, l’impresa è riuscita con Joe Biden. Vista l’età avanzata del neo presidente, politico di lunga esperienza e già vice di Obama, la Harris sarà probabilmente un puntello fondamentale del nuovo corso dell’Amministrazione americana. Descritta come una donna vivace ed energica, in passato procuratrice generale della California, è cresciuta e si è formata a diretto contatto con le lotte per i diritti delle donne e antirazziali. Alle primarie del Partito Democratico aveva presentato la sua candidatura rivendicando politiche antirazziste più decise. Poi il ritiro e la sua candidatura alla vicepresidenza accanto a Biden.

Un passo avanti

In occasione delle elezioni precedenti la candidatura di Hillary Clinton aveva aperto discussioni sul fatto che il Paese fosse pronto alla guida di una Presidente donna. Il risultato della Harris è quindi un passo avanti. La percentuale di votanti più alta di sempre con un massiccio afflusso delle donne, sono probabilmente il frutto dei movimenti e delle piazze affollate che abbiamo visto in questi anni negli States. Manifestazioni contro le politiche antiabortiste e familistiche di Trump e contro una misogìnia neppure troppo velata. La vera novità al di là della elezione è nel discorso di esordio della neovicepresidente. Vestita di bianco in onore alle suffragette, la Harris si è presentata con un eloquio chiaro, scandito dalle pause giuste, a valorizzare il senso di un pensiero lucido. Dopo aver ricordato con emozione la madre, ha sottolineato che il risultato della sua elezione è la costruzione nel tempo della forza nata dal sacrificio, dalla lotta, dalla sofferenza di tutte le donne nei secoli. Donne di tutte le etnie che cita una a una. Allusione a una società multietnica dove tutte meritano rispetto, legittimazione, ascolto. Le donne hanno dimostrato una determinazione straordinaria nel proporre la loro visione della vita e del mondo a vantaggio di tutti. La generosità di un percorso che ha prodotto il raggiungimento di questo traguardo per guardare al futuro. Trasmette un messaggio di parità rivolgendosi alle nuove generazioni e sollecitandole a credere nei loro sogni e nelle loro ambizioni senza distinzione di genere. “Sono la prima e non sarò l’ultima” dice con determinazione crescente e una punta di sfida nello sguardo. Ringrazia Biden per avere avuto il coraggio di abbattere un muro.

Penso che in questo breve discorso ci siano il senso della mobilitazione delle donne come soggetto politico  e la valorizzazione del peculiare percorso collettivo e individuale nell’inventare un nuovo modo di essere donne nella società e nel mondo. Lo sguardo impertinente, differente di chi conosce bene il sistema sociale, le sofferenze umane. Questo sguardo rappresenta una risorsa ormai non più prescindibile sulla strada per la realizzazione di cambiamenti epocali. In termini di uguaglianza, diritti, giustizia, cittadinanza. E molto può contribuire questa visione alla soluzione dei grandi e numerosi problemi di una relazione insostenibile con l’ambiente. Non credo che un uomo avrebbe pronunciato un discorso simile. Del resto è un approccio mai sentito da politici maschi. Al più qualche riconoscimento, qualche manifestazione di solidarietà nelle situazioni più crude e violente. Concessioni di forma che non hanno corrisposto a una sostanziale realizzazione di pari opportunità e di coinvolgimento delle donne nella progettazione e nella realizzazione di strategie politiche. Lo stato delle cose nel mondo ne è testimone.

La denigrazione della cultura patriarcale

Il quotidiano “Libero”, oggi, definisce Kamala Harris “mulatta”. Con disprezzo la accusa di mettere nell’angolo Biden rubandogli la scena. Una usurpatrice? No eletta dal popolo americano in una competizione democratica. Il quotidiano di destra usa una metafora pugilistica, machista per dire cosa accade a chi dà spazio a una donna, per di più di colore. Due difetti imperdonabili. Non la pensano così gli elettori e le elettrici americani purtroppo per gli autori del titolo indecoroso e offensivo. L’altra faccia della medaglia è l’evidenza della debolezza degli uomini che aprono alle donne. Una debolezza che li trasforma in vittime. Questa è la mentalità secolare fondata sull’odio e la violenza spesso travestita da una ipocrita o ironica benevolenza. Così le scienziate Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier premi Nobel per la chimica, diventano le “Thelma e Louise” di una ironia sottilmente irridente. Quando mai abbiamo sentito definire  “Gianni e Pinotto” o “Stanlio e Ollio” premi nobel maschi? Le ricercatrici dello Spallanzani che hanno isolato il virus Sars Cov 2 diventano “angeli”, come quelli del focolare trasferito, nel caso, in un laboratorio. La Lega lancia un sondaggio per individuare la peggiore ministra italiana. Come se la qualità e le competenze espresse dai Ministri maschi fossero sempre state all’altezza del Governo del Paese. Dalla realtà non si direbbe. Azioni e definizioni che ancora incontrano il sentimento e il pensiero di molte persone ancora prigioniere di stereotipi sessisti in auge da secoli, come se fossero nella immanenza naturale delle cose e in barba alla Storia.

Polonia: manifestazione delle donne per l’aborto

Il futuro nelle mani delle donne

A dispetto della cultura patriarcale che dà spesso segni di disorientamento e di fragilità pur imponendo gli schemi e i principi che le sono propri con violenza e autoritarismo, le donne dimostrano sempre più spesso di rappresentare oggi una risorsa vitale e indispensabile di rinnovamento. Sempre più protagoniste di battaglie coraggiose nel mondo. Dalle guerriere di Kobane contro l’integralismo dell’Isis, all’opposizione in Bielorussia al regime antidemocratico di Lukašenko. In Polonia la mobilitazione delle donne ha ottenuto la revisione della sentenza della Corte Costituzionale sull’aborto. E così in Sudan, in India, in Brasile, in Iraq, in Turchia, in Europa e nel mondo contro la violenza e le molestie sessuali col movimento “Non una di meno”. Dalle recenti indagini internazionali è emerso che sono i Paesi governati da donne ad avere affrontato meglio l’emergenza sanitaria del Covid -19 (v. Nuova Zelanda e non solo). Sono autrici e fautrici di progetti per contrastare i cambiamenti climatici e intervenire sulla salvaguardia degli ecosistemi naturali. Diverse scienziate e politiche mettono le loro competenze al servizio dei nuovi accordi internazionali sul clima e di esperienze per la sopravvivenza, l’equità, i diritti, la giustizia, come racconta Mary Robinson nel suo libro “Climate justice”. E sempre più numerose sono le donne che dopo anni e anni di carriera ricoprono incarichi importanti e prestigiosi, anche in Italia.

Le donne sono dunque migliori degli uomini? No. Hanno una visione diversa del mondo. Usano diversamente il potere dove ce l’hanno. Hanno la cultura della cura delle persone che si portano da secoli. Hanno una visione del futuro fondata su obiettivi che mettono al centro le persone. Hanno esperienze diverse. Sono consapevoli, pur con opinioni differenti, della loro forza, fondata sull’apporto di tutte che diviene dirompente quando fanno massa critica inventando forme pacifiche e inedite di lotta. Anche se con battute d’arresto nei decenni, il progresso è stato continuo e si è trasmesso di generazione in generazione. Indietro non si torna se la relazione di sorellanza (termine generato dal femminismo) continuerà a nutrirsi del riconoscimento e del supporto delle une verso le altre dal posto della propria appartenenza storica.

(Virna Gioiellieri)