Imola. Per capire bene la “vertenza Cefla”, bisogna partire dall’inizio, dalla fine di settembre quando il consiglio di amministrazione, su richiesta della base sociale, presenta ai soci di verse possibili opzioni per risolvere il problema della Bu (Business unit)

. Da dieci anni questo comparto della Cefla era in difficoltà e aveva finito per accumulare perdite, nonostante l’azienda avesse provato con investimenti in mercati e prodotti a risollevarne le sorti. Una situazione non sostenibile perché imputabile ai grandi mutamenti del mercato della distribuzione ed alle nuove modalità di acquisto dei consumatori che riducevano le dimensioni dei punti vendita Tutto ciò creava problemi all’intera cooperativa poiché risorse economiche e manageriali erano distolte da mercati in crescita e da clienti che garantivano margini superiori che, secondo le logiche del gruppo, investiti in altri business avrebbero garantito più sicure prospettive di sviluppo ed occupazione.

Tra le proposte presentate c’era anche il trasferimento del ramo di aziende Shopfitting ad un partner industriale, individuato nella multinazionale svedese Itab uno dei principali gruppi europei del settore. Proposta per la quale, con la maggioranza dei voti favorevoli espressi dalla Base sociale, il CdA ha ricevuto il mandato di perseguire.

La decisione era stata presa per poter garantire, come ci disse il vicepresidente Claudio Fedrigo, la permanenza dello stabilimento a Imola, la continuità lavorativa dei lavoratori attualmente impegnati e, con la creazione di una newco (all’81% Itab e il 19% Cefla con un posto nel consiglio di amministrazione) la continuità storica delle professionalità maturate ed una garanzia sui futuri processi occupazionali.

A questo punto parte una raffica di iniziative, anche con scioperi, puntano il dito contro il presunto comportamento anticooperativo della Cefla accusata di non aver coinvolto i lavoratori nel progetto.

Occorre sottolineare che l’Itab è una società quotata in borsa e conseguentemente Cefla, nelle figure dei suoi amministratori, era obbligata ad un patto di riservatezza per scongiurare il reato di “insider-trading” ossia la speculazione borsistica sfruttando informazioni ancora riservate e non ancora di pubblico dominio. Quindi come spiegato ai sindacati la Cefla era impossibilitata nell’esplicitare l’operazione prima della comunicazione ai mercati.

Quando, la comunicazione è stata resa pubblica ed il patto di riservatezza è venuto a cadere, alle richieste dell’azienda di confrontarsi con le maestranze, il sindacato ha risposto minacciando denunce per possibili comportamenti antisindacali.

A quel punto è iniziata una intensa trattativa sindacale che vedeva da una parte le maggiori sigle sindacali opporsi con motivazioni sostanzialmente ideologiche: queste scelte strategiche industriali se ammissibili per una azienda privata non lo sono per una cooperativa; e dall’altra parte Cefla che perorava un progetto industriale e la sostenibilità di un  business per il futuro.
E’ anche vero che nel sindacato  c’era anche chi aveva colto le novità della proposta e sulla base di questa apertura di credito la trattativa non è stata interrotta spostandosi, come era giusto che fosse, sul tema delle garanzie per i dipendenti.

L’elemento incomprensibile è che il sindacato, per quel che abbiamo visto si è limitato, nei fatti a fare le pulci al progetto aziendale senza mai avere una propria piattaforma tanto è vero che solo sabato 8 novembre, dopo ben 10 incontri nei quali il ritornello era: “Cefla deve garantire riassunzione nei prossimi sei anni di tutti i lavoratori trasferiti nella nuova Nw.co”, l’azienda si è fatta carico di recepire le istanze plausibili ed ha formalizzare alle parti sindacali la sua proposta di tutele a garanzia dei lavoratori.

La controprova si è avuta lunedì 9 novembre quando i sindacati hanno convocato una assemblea ed i lavoratori hanno votato sul progetto predisposto dalla Cefla approvandolo con oltre il 60% dei voti favorevoli. La possiamo definire una significativa maggioranza? E questo piano prevede garanzie straordinarie per i dipendenti fino al 2026.

E le sorprese non sono finite, perché  mentre alla sera del 10 novembre la Cefla e i sindacati firmavano l’accordo, alcune sigle nella mattinata erano uscite sulla stampa locale con prese di posizione che continuavano a sostenere che quella non era la scelta giusta.

Una cosa buona, però, questa storia ce la propone. La crisi degli anni 2000 ha falcidiato le  imprese imolesi, ma alcune hanno resistito e in due casi particolari, Cefla e Sacmi, si tratta di grandi aziende che operano a livello internazionale. Questo elemento va tenuto ben presente quando si aprono trattative industriali, perché stiamo vivendo dinamiche del tutto nuove in fabbriche che sono profondamente rinnovate e dove il digitale ha introdotto un ulteriore rivoluzione.

Oggi ci si deve confrontare sui mercanti dei cinque continenti e pensare che il sindaco di Imola possa intervenire in maniera risolutiva durante una vertenza è illusorio e fuorviante. Pare invece che il mondo sindacale imolese immagini ancora un percorso contrattuale antico e nulla sa dire dalle grandi novità introdotte dallo smart working e dalle macchine che dialogano fra loro.

Ma questa è la vera sfida industriale come disse un filosofo tedesco hic Rodusodus, hic salta.

L’aver evidenziato questa situazione è il grande merito della vertenza Cefla che, proprio grazie ad una cooperativa, non lascia sul terreno né morti né feriti.

(m.z.)