Imola. Ha chiuso prima del tempo ma “in bellezza”. Parliamo della rassegna organizzata da Spazio Tempo, il gruppo che si occupa di incontri scientifici a scopo divulgativo. Per ragioni legate al Covid, infatti, ci si è fermati alla penultima conferenza dell’anno, rimandando a tempi migliori l’ultima in programma. Ma è necessario parlare anche d’altro e pensare a un dopo, in questo clima concentrato sulla pandemia.

Parte del gruppo SpazioTempo, con l’ospite: da sinistra, Carlo Cavina, il coordinatore Silverio Scardovi, Carmen Capre, Paola Ceroni, Carla Cardano, Adriano Sansoni, Tommaso Cavina.    Sullo sfondo l’antico affresco “Maestà di Torano

Ospite dell’ultima serata è stata Paola Ceroni (al centro nella foto), professore ordinario di chimica generale e inorganica presso il dipartimento “Giacomo Ciamician” dell’Università di Bologna . Di lei in questa sede ci siamo già occupati perchè davvero la sua ricerca d’avanguardia attira l’attenzione anche di un profano e i suoi obiettivi raggiunti sicuramente la segnalano come scienziato di valore indiscusso.

La prof.ssa Paola Ceroni all’incontro di Spazio Tempo

Parlare di lei e con lei ci aiuta anche a considerare l’Italia come parte del mondo internazionale, cosa che spesso non facciamo, limitandoci a osservare ciò che accade da una prospettiva limitata, oserei dire un po’ “provinciale”. Abbiamo approfondito alcuni aspetti del suo lavoro universitario, per esaminare ciò che può essere di interesse per molti. E anche per rendere più comprensibile ai non addetti ai lavori in che cosa consista l’attività di chi fa ricerca nelle Università.

Per cominciare, qualcosa in più sui fondi di ricerca necessari, fondi indispensabili per acquistare e mantenere strumenti tecnici speciali, finanziare ricercatori a contratto, ottenere materiali costosi e inconsueti…

Sappiamo che i finanziamenti si ottengono a seguito di “progetti” presentati agli enti opportuni. Molti enti sono europei, di quell’Europa su cui si dice tanto, in termini di benefici, o, al contrario, in termini di inutili contributi da noi versati. E l’Europa emerge quando chiediamo a Paola di illuminarci a proposito dei suoi “progetti”, ciò che viene sviluppato nel corso della ricerca scientifica, nel suo laboratorio, dal suo gruppo.

I progetti, veramente in quantità notevole, di cui Paola è responsabile, molti in essere, alcuni terminati, si rivolgono a enti identificati attraverso vari nomi da cui non sempre si capisce la provenienza (Erc, Firb, Prin…,ma possiamo cercare in internet). Si tratta di proposte sempre molto significative, che i non addetti possono giudicare dall’entità delle cifre stanziate oltre che per l’importanza degli enti erogatori. Nel corso della conferenza Paola ha fatto cenno alla Comunità Europea come principale responsabile dei finanziamenti, sottolineando come, al contrario, le cifre stanziate dal Ministero siano irrilevanti. Ci siamo rivolti a Paola per saperne di più.

A proposito dei progetti finanziati: in breve come vanno le cose? Chi giudica i progetti?
“L’Europa apre periodicamente delle cosiddette ‘call’ per progetti a tema oppure per progetti all’avanguardia, chiamati ‘Ideas’ che non sono vincolati ad una specifica tematica, ma premiano idee fortemente innovative. I ricercatori sottopongono la loro proposta che viene valutata da un panel di esperti internazionali (colleghi che operano in università o centri di ricerca stranieri nel campo di ricerca oggetto della proposta). La valutazione è fatta sulla base dell’eccellenza scientifica del progetto e della sua fattibilità e chiarezza di obiettivi. Una volta approvato, l’Europa richiede resoconti periodici sia dal punto di vista finanziario sia scientifico per decidere se proseguire con il finanziamento. Solitamente i progetti finanziati non vengono fermati a metà. Alla fine si deve presentare una relazione scientifica finale con i risultati principali del progetto, insieme con eventuali pubblicazioni e brevetti scaturiti dal progetto stesso”.

Senza il denaro ricevuto per i progetti, che ricerca avresti fatto?
“Poco o nulla, non esistono più finanziamenti per i ricercatori che non siano legati ad uno specifico progetto. A livello italiano, i finanziamenti sono molto limitati, nonostante venga richiesto di presentare progetti molto innovativi.  Anzi, i finanziamenti vengono solitamente decurtati (fino al 30-40%) tra la fase di sottomissione e l’eventuale approvazione per accontentare un maggior numero di richiedenti. Questo contrasta con la politica europea in cui devi presentare un progetto in cui le attività previste siano fattibili nei tempi di durata del progetto e con i finanziamenti a disposizione per quella “call”. In poche parole non puoi promettere mari e monti con pochi soldi. Altro difetto italiano è il lungo lasso di tempo che passa tra la sottomissione della proposta e la decisione di quali proposte finanziare: i progetti di ricerca invecchiano velocemente”.

Diamo un’occhiata ai premi, per sapere che cosa significano, come sono considerati e accolti. Hai avuto premi italiani e poi la GriessLectureship  della  Royal Society of Chemistry nel 2015. Che valore hanno? Riconoscono il merito?
“Esatto. Sono un riconoscimento al merito. Nel caso della GriessLectureship, il premio mi ha dato la possibilità di presentare i risultati della mia ricerca in varie università inglesi, dandomi l’opportunità di parlare con colleghi di vari settori e di instaurare nuove collaborazioni. Il riconoscimento più importante che ho ricevuto è senza dubbio l’aver vinto il progetto Ideas Erc (European research council) Starting Grant: ad oggi non è più considerato solo come un progetto finanziato, ma come un vero e proprio riconoscimento dell’eccellenza scientifica. Tanto è vero che le università, anche italiane, fanno a gara per avere il maggior numero di professori che hanno ricevuto questo tipo di finanziamento, chiamandoli anche da università estere. La mia posizione di professore ordinario nel 2017 è scaturita proprio dalla vittoria del progetto Erc nel 2012. Successivamente ho vinto un secondo progetto Erc Proof of Concept, di tipo prevalentemente applicativo, che mi ha permesso di sfruttare la ricerca portata avanti nel primo progetto Erc”.

Diamo ora uno sguardo ai vari incarichi ricoperti. Fai parte del comitato scientifico del Centro di Ricerca Interuniversitario per la Conversione chimica dell’Energia solare. Gruppo che funziona? Colleghi in gamba? Su che cosa si decide? Quanto spesso si riunisce il comitato?

Il professore emerito Vincenzo Balzani

“Il Centro coinvolge l’Università di Bologna e altri due atenei italiani, quelli di Ferrara e di Messina, in cui operano colleghi molto esperti, anche a livello internazionale, nel campo della fotosintesi artificiale, cioè la conversione dell’energia solare in combustibili. L’idea è partita dal collega di Ferrara con il coinvolgimento del Prof. Vincenzo Balzani, ora professore emerito dell’Alma Mater, fotochimico di fama mondiale con cui ho avuto la fortuna di lavorare e con cui collaboro tuttora. Il Centro è decollato con prospettiva sia scientifica sia politica: accanto al desiderio di unire le forze per affrontare una sfida così complessa come quella della fotosintesi artificiale, si voleva dare visibilità a livello italiano ed europeo alle competenze esistenti nel campo e cercare perciò di incidere anche sulle scelte politiche. Purtroppo, non c’è stato supporto a livello italiano e quindi le attività del centro sono al momento limitate. Tuttavia, recentemente abbiamo vinto un importante progetto europeo sulla fotosintesi artificiale di cui io sono coordinatrice e a cui partecipa un collega dell’Università di Ferrara, membro del Centro.

Schema di fotosintesi artificiale

Esistono centri interuniversitari sulla fotosintesi artificiale anche a livello europeo, ad esempio in Olanda, o negli Stati Uniti, ma questi ricevono ingenti finanziamenti. Solo per fare un esempio, il progetto europeo a cui accennavo precedentemente è di 4 milioni di euro da dividere tra 10 partners, un finanziamento cospicuo per la media italiana. Non bisogna però confrontarsi con i colleghi statunitensi. Infatti, nel nostro progetto è coinvolto, a titolo gratuito, un collega americano dell’Università della North Carolina. Negli stessi giorni in cui abbiamo ricevuto risposta positiva per il nostro finanziamento, il collega americano ha ricevuto, insieme con un’altra università americana, un finanziamento di 100 milioni di dollari dal Dipartimento dell’Energia statunitense (DOE)! La corsa alla fotosintesi artificiale non avviene ad armi pari, ma non ci possiamo lamentare…
Uno dei riconoscimenti più prestigiosi è stato diventare membro della Società Chimica Reale Inglese: “Fellow of the Royal Society of Chemistry” nel 2017, riconoscimento ottenuto per elevati meriti scientifici. Ho addirittura ricevuto copia del giornale Times in cui vengono pubblicati annualmente i nuovi membri eletti!”.

Come concili la vita familiare con la tua intensa attività scientifica? Tre figlie e un marito sono sicuramente molto importanti, sia in positivo  sia però anche in negativo, nel senso di meno tempo da dedicare alla ricerca?
E’ stato difficile quando le mie figlie erano piccole: tutte le volte che dovevo andare a congressi era una tragedia per loro. Il supporto costante e sereno di mio marito è stato davvero fondamentale. Ora sono molto indipendenti e non risentono particolarmente del fatto che io sia molto impegnata con i l lavoro”.

Da molte parti la chimica è additata come responsabile di svariati mali del pianeta, in primis l’introduzione di sostanze estranee nocive. Che cosa diresti in questo caso?
“Purtroppo l’idea di chimica che hanno le persone comuni è legata a sostanze pericolose. E’ vero che ci sono industrie chimiche altamente inquinanti e che ci sono stati incidenti che hanno prodotto un grave inquinamento, ma la chimica non si limita a questo. La chimica è tutto ciò che ci circonda: dal profumo di una rosa alle complesse reazioni che avvengono nel nostro organismo che sono alla base delle funzioni vitali, ma anche del nostro pensiero. Mi lascia sempre perplessa vedere pubblicità o articoli di giornale in cui si decanta l’uso di sostanze naturali: in natura esistono potentissimi veleni. D’altra parte, è possibile sintetizzare in laboratorio le stesse molecole che si trovano in natura e queste sono del tutto indistinguibili da quelle naturali. Quindi artificiale non è sinonimo di pericoloso o tossico. La prima dimostrazione è stata nel 1828 con la sintesi dell’urea, sostanza organica naturale presente nell’urina”.

La chimica potrebbe, al contrario, aiutare ad affrontare situazioni complesse, presenti nel mondo oggi.
“Penso che, nel prossimo futuro, il ruolo del chimico sarà fondamentale per risolvere i problemi legati al riciclo degli elementi rari, ottenere energia da fonti rinnovabili, e anche nella ricerca di nuovi farmaci. E’ però sempre più importante avere un approccio multidisciplinare per affrontare sfide così complesse”.

La tua ricerca comunque potrà dare un contributo molto significativo per migliorare la salute del pianeta, visti i traguardi già raggiunti.
“Si, lo spero. Obiettivi della mia ricerca sono infatti l’utilizzo delle nanoparticelle di silicio per il riciclo della plastica e per la conversione di energia solare in energia elettrica tramite concentratori solari luminescenti. Obiettivo più lontano nel futuro: la fotosintesi artificiale di cui parlavo prima”.

Parliamo ora della tua funzione come docente. La didattica a distanza sembra essere stata molto deludente. Quali le ragioni?
“La didattica a distanza non è molto proficua: molto difficoltosa sia per il docente sia per lo studente, è stata una scelta forzata nella scorsa primavera. In questo semestre, l’Università di Bologna ha deciso di ripartire con la didattica in presenza, affiancandola, per chi lo desidera, alla didattica a distanza. Il problema principale è legato ai laboratori: è per forza necessario farli in presenza per acquisire manualità e per saper affrontare i pericoli legati all’utilizzo di sostanze pericolose. Una mia collega ha detto a proposito dei laboratori on-line: non possiamo dire di essere grandi chef perché guardiamo il programma televisivo di Masterchef!”.

Quali sono gli obiettivi, nella tua carriera professionale, che riguardano la didattica?
“Accanto agli obiettivi scientifico-tecnologici, scopo fondamentale della mia carriera è formare giovani con solide conoscenze di base, pronti ad affrontare le nuove sfide del futuro con una mente aperta, creativa e curiosa di scoprire nuovi orizzonti. In accordo con la frase del famoso scienziato Albert Szent-Gyorgyi, premio Nobel per la medicina: Le scoperte consistono nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò che nessuno ha pensato”.

(Carla Cardano)