Ferrara. La trasmissione di Riccardo Iacona, Presa diretta, dedicato al prezzo ingiusto del prodotto ortofrutticolo sul banco dei supermercati ha avuto un’eco importante nel mondo agricolo e abbiamo voluto approfondire il tema con Stefano Calderoni, presidente della Cia di Ferrara.

“E’ necessario premettere che la distribuzione organizzata svolge un ruolo centrale nella vita quotidiana dei consumatori italiani. Con quasi 30 mila punti vendita su tutto il territorio nazionale, il settore della GDO è, ed è stato, un attore chiave dello sviluppo degli stili di consumo alimentari del paese. L’Italia è da sempre sinonimo del mangiar bene. E per gli italiani il cibo ha un carattere profondamente identitario e una forte valenza sociale. l’Italia è prima per spesa alimentare in Europa e nel mondo e se da un lato la liberalizzazione delle aree di vendita e l’ingresso di nuovi attori nel mercato della distribuzione ha garantito una progressiva contrazione del prezzo di vendita dei beni alimentari al dettaglio dall’altro ha dato vita ad una competizione esasperata anche a seguito della crescita del settore dei discount.
Ne consegue che offerte, promozioni, sconti e sottocosto sono divenuti sempre più frequenti e rilevanti per scongiurare il crollo delle vendite e per preservare i ricavi. Di contro, queste dinamiche hanno stimolato nuovi comportamenti di consumo con clienti che, sempre meno fidelizzati, migrano di negozio in negozio a seconda delle offerte alimentando una spirale che tende a scaricare sui produttori il prezzo di questa concorrenza selvaggia.”

Oggi la questione del prezzo ingiusto crea forti tensioni nel settore ortofrutta. Come uscire da un impasse che crea solo danni?
“Quella del prezzo giusto in agricoltura è una questione attuale che rischia di esasperarsi alla luce della crisi economica e sociale generata dalla pandemia. Se la scelta dei consumatori sarà sempre più indirizzata verso il prezzo a scapito della qualità dei prodotti non rimarrà che riflettere, in fretta, sul destino che sarà riservato a centinaia di migliaia di aziende agricole italiane.
L’analisi della catena del valore stilata da Ismea, non lascia spazio a dubbi: su 100 euro destinati dal consumatore all’acquisto di prodotti agricoli freschi, infatti, rimangono all’imprenditore agricolo come utile solamente 6 euro, contro i 17 euro delle imprese del commercio e del trasporto. E nel caso dei prodotti alimentari trasformati, dove la filiera si allunga, l’utile si contrae ulteriormente, scendendo sotto i 2 euro (11 a distribuzione e logistica insieme).
Ciò ha portato al paradosso che quando si compra al supermercato una bottiglia di pomodoro si paga più per la bottiglia che per il pomodoro contenuto.”

Uno degli effetti collaterali è quello di dar vita ad una competitività che porta le aziende nel fosso.
“Questa elevata tensione competitiva, la saturazione dei consumi e la crescente accentuazione della concorrenza basata sul prezzo ed alla scarsa fidelizzazione del consumatore hanno da tempo indotto i maggiori operatori della distribuzione commerciale a promuovere strategie fondate sulla differenziazione, che si sono tradotte nel consolidamento della corporate identity, strutturando progressivamente elementi di immagine e individualità difficilmente attaccabili dai concorrenti.
Lo scenario è cambiato: se alla fine degli anni ’90 lo sviluppo della marca del distributore era limitato a poche categorie merceologiche e con assortimenti centrati sulla convenienza, oggi attraverso l’offerta a marchio proprio il distributore trasferisce al consumatore finale il proprio valore fungendo da mediatore ed intermediando la relazione che da sempre è esistita tra modo della produzione e quello del consumo. Al fine di fidelizzare il consumatore, la maggior parte dei grandi distributori presenta sui propri scaffali gamme di marche proprie molto ampie e diversificate, sia in termini di prezzo sia in termini di posizionamenti concettuali. Diversificare l’offerta resta un imperativo per il futuro: le linee diversificate in termini di brand, logo e prezzo vanno a caratterizzare e differenziare l’offerta del distributore. La diversificazione dell’offerta permette di rispondere in modo più mirato alle diverse esigenze del consumatore secondo una logica olistica che vuole portare il consumatore ad identificarsi con la corporate identity della catena distributiva.
Questa concezione fortemente legata ad una promozione dell’identità aziendale determina una scarsa propensione verso la promozione di nuovi progetti imprenditoriali vocati alla valorizzazione dell’agroalimentare. Certo nulla può fare la gdo contro grandi marchi storici ma certamente non ha favorito né accompagnato la nascita di nuovi progetti imprenditoriali e cooperativi che avevano come unico obiettivo quello di garantire una più adeguata remunerazione ai produttori.
Emblematica risulta la difficoltà che ha incontrato il progetto “Opera la pera” nella prima fase di commercializzazione delle pere a marchio che risultarono, in un primo momento, più ostiche da collocare sugli scaffali dei supermercati.”

(m.z.)