L’ottica “green” che interessa il settore agricolo prevede il dimezzamento dell’uso di fitofarmaci e fertilizzanti, già infatti si stanno affacciando realtà aziendali che hanno dichiarato guerra a diserbanti e metalli pesanti come ad esempio le serre per la coltivazione idroponica degli ortaggi dove per ottenere un chilo di pomodori o insalata servono solo due litri d’acqua rispetto ai 75 di un campo aperto; lasciare che sia la natura nella sua complessità e nei suoi tempi a produrre cibo con il minimo intervento, è questo il contesto di cui in futuro avremo sempre più bisogno ed in cui si sta muovendo a piccoli passi l’agricoltura a “residuo zero” che supera addirittura il rigido disciplinare del “biologico” che comunque ammette un minimo contenuto di residuo chimico.
Luci e ombre perciò nel settore primario ma alcune certezze però sono sotto gli occhi di tutti, la prima che riguarda Covid-19 è che l’Agricoltura del futuro dovrà prendersi maggior cura del pianeta mentre la seconda è che non sta allineandosi agli altri settori produttivi riducendo la propria quota di emissioni di gas serra, che pesa ormai più di quella del settore industriale (430 milioni di tonnellate di CO2 l’anno contro le 347 dell’industria); è questa una delle criticità più stridenti della Politica agricola comunitaria (Pac), a cui bisognerà metter mano, che ancora favorisce le grandi proprietà elargendo sussidi che premiano e favoriscono i latifondi meccanizzati, che cancellano tanto biodiversità e fertilità del terreno quanto sviluppo sociale e tutela ambientale.
Produzione e distribuzione delle derrate sono altri aspetti da considerare (e cambiare) in quanto malgrado il settore agricolo produca cibo in quantità più che sufficiente a sfamare la popolazione mondiale, la distribuzione è squilibrata ed il consumo irrazionale degli alimenti provoca una tale malnutrizione tanto da far morire la gente povera quanto far ammalare quella ricca a causa ad esempio dell’obesità; tutto ciò sia per colpa della coltivazione in monocoltura adottata dalle grandi aziende che usano prodotti chimici che alla lunga impoveriscono la fertilità del terreno, sia a causa della globalizzazione distributiva che è diventata a ciclo continuo, da stagionale che era, rendendo in questo modo le coltivazioni più vulnerabili a stagionalità e parassiti animali e vegetali.
D’altronde l’agricoltura industriale non ha mai “nutrito” il mondo, e a sfatare questo mito del passato è il dato che vede il 70% di ciò che ci sfama che è prodotto da milioni di piccoli coltivatori che producono in modo sostenibile, alternando ad esempio le colture, che spesso sono supportati con strutture e formazione come in Messico dove svolgono un ruolo importante a protezione della biodiversità, o in Cina dove il governo ha promosso cooperative, oppure in India dove le comunità locali adottano rotazioni colturali atte a far “riposare” i terreni e riscoperto cultivar di riso da tempo abbandonate.
La forza “anticiclica” del settore primario, malgrado la voragine aperta nei conti della chiusura di bar ristoranti e hotel causa Covid-19, ha visto premiata “l’economia cibo” a fronte i picchi in negativo dei settori non alimentari; bene soprattutto i prodotti base della filiera agroalimentare (farine, latte, ecc.), la pasta e il vino, in un trend che probabilmente continuerà anche quando saremo fuori dall’emergenza sanitaria grazie al “made in Italy” delle tipicità del territorio complice la riscoperta dei negozi di vicinato causa lockdown, con il boom delle vendite on line a chiudere il cerchio.
Mentre le nuove strategie europee prevedono una drastica riduzione della chimica in agricoltura mettendo in allarme il sistema produttivo, che sembra ancora non poter fare a meno dei prodotti di sintesi, il comparto biologico è un passo avanti nella strada dell’agro-economia di cui avremo più bisogno nel post-pandemia; il settore “bio” dovrà però crescere in fretta assieme a quello delle energie alternative con un occhio attento alle realtà aziendali più interessanti che si affacceranno all’orizzonte, come quelle ad esempio che iniziano a utilizzare microrganismi utili al posto delle molecole di sintesi nell’uso dei fertilizzanti tradizionali.
(Giuseppe Vassura)