In un mondo scosso da visioni apocalittiche, che abbiamo visto all’opera nei giorni trascorsi a Capitol Hill, il pontificato di Francesco è il solo a costruire un linguaggio anti-apocalittico. E per capire appieno il pericolo della polarizzazione apocalittica faremmo bene a guardare a quanto accaduto a Capitol Hill con le lenti dell’esperienza di molti paesi islamici. In molti di questi paesi, dopo un avvio positivo dell’epoca post-coloniale, la religione è stata progressivamente trasformata in ideologia anti-occidentale, cioè in piattaforma di sostegno a sistemi di potere trasformati in regimi. Il trauma della sconfitta del ’67 non è stato elaborato cercando un riscatto economico o culturale invece che militare (come ha fatto la Germania dopo la seconda guerra mondiale, ad esempio) e i problemi reali sono stati occultati sotto il tappeto di un fittizio scontro assoluto con l’Occidente. Questi regimi, ognuno a modo suo, hanno usato la religione (o la mitologia panaraba) come sostituito della politica, facendone un’ideologia reazionaria o rivoluzionaria ma comunque intrisa di odio, di antagonismo esistenziale con l’Occidente, presentato come il male, il nemico corrotto che assoldava il nemico interno: la società civile.

La polarizzazione così è stata ovunque tra regime salvifico e società civile, quinta colonna del nemico esistenziale. La polarizzazione è diventata apocalittica quando dalla religione trasformata in ideologia sono nati i terrorismi islamici. Questi terrorismi hanno sovrapposto la loro visione apocalittica – che sogna di produrre un conflitto globale che porti alla fine del mondo – al nichilismo cresciuto in società o comunità di emigrati che non avevano più nulla in cui credere, e usano la loro disperazione e disconnessione per seminare odio e violenza in modo funzionale al progetto apocalittico: solo dopo Armageddon sarà possibile la giustizia, meglio fare in modo che arrivi il prima possibile tagliando ogni ponte.

Il 6 gennaio di Washington è stato il giorno dell’Epifania dell’occidentalizzazione di questo fenomeno. Il labirinto in cui è finito l’Occidente è profondamente diverso, ma da tempo negli Stati Uniti si assiste a questa trasformazione del cristianesimo in ideologia. Nell’agone politico il Great Old Party è divenuto sempre di più il “Partito di Dio”. Qualcuno ora ne vuole fare un vero e proprio Hezbollah (partito di Dio) apocalittico? Il rischio nasce anche qui dalle guerre culturali e dall’ideologizzazione della religione, che prosegue scavando il fossato nella società. L’abbattimento delle statue ne è stato l’ultimo prodotto. La copertura alla polizia che uccide i neri ha polarizzato lo scontro, auspicando reazioni estreme perché i diversi dovevano divenire opposti, incompatibili. L’ultimo piccolo atto di questa polarizzazione è stata la decisione di cambiare nome a una squadra di baseball, gli Indians, perché offensivo. Giusto, sbagliato, troppo? Non è questo il punto. Non siamo quel che siamo, ma quel che appariamo all’altro. Questo cambio di nome ha dimostrato all’altro che le guerre culturali non sono finite con l’aborto e l’antiabortismo violento il solco è sempre più profondo, la religione allora è la nostra ideologia. Decisivo è il nemico: l’Occidente prevaricatore e corrotto nel primo caso, le élite prevaricatrici e corrotte alleate dei liberal senza Dio che arrivano a far cambiare nome a una squadra di Cleveland nell’altro caso.

Un fondamento di verità ovviamente c’è in entrambe le propagande: l’Occidente ha certo commesso i suoi errori e le élite hanno fatto altrettanto. Ma il punto forte per entrambi gli esperimenti è l’uso di Dio, la trasformazione della religione in un’ideologia, reazionaria o rivoluzionaria che sia. Questo nella storia di tanti paesi a maggioranza islamica lo vediamo da tempo, ma ora dobbiamo dire perché non lo abbiamo visto a Capitol Hill. Eppure il nome di Dio, ha scritto The Atlantic, era ovunque quel giorno. Tutti dovremmo aver visto lo striscione con scritto “Jesus 2020” issato dagli insorti sul tetto del congresso: tutti dovremmo aver visto le bandiere bianche con la croce cristiana nell’angolo e le numerose bandiere con scritto “Dio, armi, Trump” o “Dio, armi, budella”. Ma non tutti potevamo riconoscere gli striscioni dei gruppi evangelicali e cattolici presenti in piazza, molti dei quali con rimandi biblici.

L’importanza di questa trasformazione della religione è cruciale in entrambi i casi, perché si fonda sull’odio. In uno scontro da “figli delle tenebre contro figli della luce”, estraneo alla cultura dei monoteismi abramitici, l’assolutizzazione del nemico è fondamentale per la conquista dei credenti. È qui che si coglie un errore esiziale di parte della sinistra liberal: espellere le tematiche religiose dal campo democratico produce l’effetto sperato dagli estremisti dell’altro campo. L’Occidente, regno delle tenebre, è il nemico assoluto, corrotto e corruttore, nella narrativa dei fondamentalisti del mondo islamico; i liberal e le élite corrotte e corruttrici sono il nemico assoluto nella seconda narrativa. In questa polarizzazione non poteva tardare a manifestarsi il pensiero apocalittico.

La falsa notizia del furto delle elezioni vinte a valanga da Trump ha indicato il trauma: lo strappo così non può essere emendato o rammendato, anche per renderlo un fattore permanente e essenziale della battaglia interminabile tra bene e male, tra figli della Luce e figli delle Tenebre. È il trauma collettivo dal quale non si deve uscire. Il trauma deve essere tale e deve rimanere tale, rendendo plausibile anche la falsità del complotto sul virus, altro tassello del complotto delle élite. Cosa dicevano i gruppi cristiani presenti in piazza il 6 gennaio? “Urla se ami Gesù”, ha riferito The Atlantic, “abbattiamo le mura di cinta della cittadella corrotta!” La retorica trumpiana ha sempre più frequentemente fatto ricorso al male, ai cattivi, “bad”, e ai molto cattivi, “very bad”.

Arriviamo così al significato della figura di quello che è stato chiamato “lo sciamano” o “il vichingo” nell’assedio di Capitol Hill. Non era un buffone, non era un pagliaccio. Era un simbolo di una battaglia antica, la rappresentazione hollywoodiana di un protagonista di Armageddon. La polarizzazione taglia i ponti e rappresenta uno scontro finale: per renderlo tale si deve partire dall’impensabile, la falsificazione di milioni di voti per derubarlo della vittoria. È un complotto totale, globale… Dunque siamo a qualcosa di apocalittico… Ecco perché Dio era ovunque a Capitol Hill. Questa percezione di uno scontro finale non è finita il 6 gennaio. Si diffonde nel mondo, penetra ambenti, culture. Anche nel campo avverso: Trump diventa il male assoluto e ridà fiato al vecchio antiamericanismo viscerale. Le reazioni di alcune cancellerie “nemiche” degli Stati Uniti non hanno irriso lui, ma gli Stati Uniti. Khamenei è arrivato nei giorni successivi a proibire l’acquisto di vaccini prodotti negli Stati Uniti o nel Regno Unito; frutti certamente avvelenati, ha detto.

La sola alternativa globale a questa polarizzazione apocalittica globale la offre Francesco. I messaggi di fondo del papa dell’enciclica Fratelli tutti, integrare e dialogare, producono una scelta di campo: generare processi. Vedendo nell’Europa una realtà “dinamica” Francesco ha spiegato che generare processi è il prodotto della scelta di integrare e dialogare. È questa l’essenza del pontificato, il poliedro. Se la proposta di Dio all’umanità è la fratellanza, allora la traduzione di Francesco è la composizione del poliedro, agire per unire nel rispetto delle nostre differenze. Non cancellare le differenze, come fa la globalizzazione uniformante, né dividerci su linee religioso-nazionaliste in urti irriducibili, come gli scontri di civiltà. Ecco perché l’uso dei simboli religiosi nei comizi politici italiani ha creato un grave allarme. Indicava il possibile slittamento anche dell’Italia verso una dinamica del genere, come l’idea orbaniana di una democrazia illiberale e cristiana. Le varie politiche apocalittiche convergono tutte sull’opposizione incolmabile tra bene e male, tra figli della luce e figli delle tenebre; la proposta di Dio come la prospetta Francesco invece è quella del discernimento: tutti dobbiamo discernere il bene dal male, che crescono insieme. Questo discernimento paziente richiede dialogo e comprensione, non muri. Quando Francesco disse che chi pensa a costruire muri non è cristiano non parlava solo del muro tra Stati Uniti e Messico, ma anche dei muri tra culture e ambienti sociali. Questa visione ha bisogno di interlocutori.

(Riccardo Cristiano*)

* “Bergoglio o barbarie: Francesco davanti al disordine mondiale” è il titolo del suo ultimo libro di Riccardo Cristiano. Saggista, giornalista ed esperto vaticanista dal 2000, fondatore dell’associazione Giornalisti amici di padre Dall’Oglio, è stato a lungo inviato in Medio Oriente e poi coordinatore dell’informazione religiosa di Radio Rai.