Bologna. Raccontare la nostra storia, scriverla perché rimanga è un lavoro complesso, ma meritevole e appassionante. E di passione, nel fare “Cinni di guerra – Memorie e fantasie dei bimbi che videro passare il fronte” (prefazione di Antonio Faeti, editore Minerva novità), Giacomo e Giuseppe Savini ne hanno messa tanta. Un lavoro che ha permesso di raccogliere le storie di questi ultimi testimoni della Grande Guerra, ottantenni di oggi, bambini all’epoca del passaggio del fronte. A Bologna vengono, appunto, chiamati “i cinni di guerra”.
Gli autori di questa raccolta hanno cercato uomini e donne di Bologna (città e provincia), hanno ascoltato le loro storie, alle volte terribili, altre volte curiose e simpatiche, e le hanno riportate su carta: oltre 100 ricordi che raccontano un lato nuovo e privato della Seconda guerra mondiale per i bolognesi. Un libro per non dimenticare.
Giacomo e Giuseppe Savini, bolognesi appassionati di storia e storia locale sono alla loro prima pubblicazione insieme. Giuseppe è il direttore del Centro studi Storia del lavoro della Fondazione Cassa di risparmio di Imola.
“A raccontarci le storie e le fantasie dei bimbi che videro passare il fronte sono stati loro, ossia quanti, nati fra il 1926 e il 1939, assistettero bambini a quello che fu il più terribile evento del secolo scorso: la seconda guerra mondiale – si legge nell’introduzione al libro -. Sono gli ultimi superstiti di una tragedia che segnò profondamente anche chi, più fortunato tra loro, non subì traumi violenti; ma sono pure gli ultimi testimoni di un mondo finito, per noi lontanissimo, fatto di parsimonia, stanze fredde, babbi severi, famiglie numerose, geloni, pochi giochi, vestiti ricuciti e scarpe usate, piedi nudi, lavoro e a volte fame”.
“… Noi che abbiamo visto la guerra…”, ecco proprio loro con le parole e le immagini ci fanno entrare in quello che per molti di noi sono soli ricordi ascoltati da genitori e nonni, per altri, i più giovani, rischiano di diventare solo pagine di un libro di storia. Non dimenticare, rivivere la memoria è importante per capire e impedire che certi passati ritornino. “Una differenza, un atteggiamento, un modo diverso di fare e di pensare che ha segnato per sempre le loro vite e che è così diverso da quello di … voi che non avete visto la guerra. Perché a raccontarci queste piccole storie sono stati i vecchietti di oggi e non i bambini di ieri: memorie infantili, lontane, sulle quali è passata una esistenza. Da quei fatti, tragici come banali – la scomparsa del babbo, la rottura della bottiglia dell’olio, i morti per strada, una ciabatta, una gallina, la sirena o il sapore delle caramelle – i bimbi sono cresciuti, la vita li ha cambiati, la memoria si è cancellata o si è bloccata in ricordi confezionati o ha messo tutto da una parte per poi essere ritrovato, rispolverato, raccontato o rimosso per sempre”.
Giacomo e Giuseppe non hanno cercato il rigore storico: “… Quanto mi sono divertita durante la guerra – ci ha confessato una signora – mi sembrava una favola…, cercavamo piuttosto quella favola, quel mondo ingenuo che, anche quando non era affatto divertente, era comunque raccontato così come visto dagli occhi, sentito dalle orecchie, annusato, gustato e toccato dalle mani e dalla fantasia dei bambini. Questo ci premeva raccogliere e mantenere”.
“Raccontare, descrivere, interpretare, documentare l’infanzia in guerra è impresa difficile, piena di incognite, a volte perfino sconcertante – scrive Antonio Faeti nella sua prefazione -. Ho trascorso, in guerra, tutta intera la mia prima infanzia, ma non mi sono mai ritrovato nelle narrazioni dei miei coetanei e conosco le ragioni di questo allontanamento, di questa lancinante separatezza. Ognuno, per così dire, ha la sua guerra perché, costantemente, ha inventato spiegazioni, ha creato spettri alternativi, ha posto nella fabula creazioni utili per un aggiustamento indispensabile… I bambini in guerra, nella guerra totalizzante che ha ridisegnato l’esistenza, non sono mai stati narrati davvero. La guerra che si prende tutto, che non lascia spazio a nessun altro evento, che ridefinisce orari e stagioni, luoghi e persone, figure e tempi, ovviamente stringe i bambini in un abbraccio entro il quale solo Lei conta davvero… E, per i pochi anni che rimangono da vivere a noi che fummo bambini nei rifugi, occorrerebbe favorire costantemente la memorialistica. C’è sempre quel brandello, quel pezzettino, quel caso, quel personaggio, quella sensazione… L’infanzia in guerra è un particolare capitolo di storia dell’educazione, oggi dovrebbe essere posto accanto all’indifferenza, alla noncuranza, al disimpegno che tanti giovani manifestano”.