Il Giorno della Memoria è stata istituito nel 2005 dall’Onu per ricordare le vittime della Shoah e fu individuato il 27 gennaio poiché in tale data le truppe russe liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. In Italia in tale data si ricordano anche le leggi razziali, i deportati politici e militari italiani, coloro che rischiarono la vita per salvare tali perseguitati.

Ebbene, per quanto riguarda Imola è doveroso ricordare che don Giulio Minardi, per l’opera di salvaguardia di chi subiva tali persecuzioni, ebbe dopo la guerra attestati ufficiali da parte della Comunità Israelitica e dalle organizzazioni antifasciste di Imola, inoltre fu insignito di Medaglia d’Oro dal Consiglio provinciale di Bologna e nominato Cavaliere al merito della Repubblica dal Capo dello Stato.

Busto di don Giulio Minardi (Foto Fondazione Santa Caterina)

Nato da una famiglia di braccianti agricoli a Zagonara di Lugo nel 1898, fu ordinato sacerdote nel 1921, divenne cappellano a Sesto Imolese, poi ad Imola parroco di San Giovanni Battista, infine parroco al Carmine; nel 1935 divenne direttore dell’Istituto di Santa Caterina e dedicò la sua vita ai più deboli, in particolare ai giovani.

Abbiamo parecchie testimonianze del suo operato da parte di chi fu da lui protetto e salvato durante il duro periodo della Seconda Guerra Mondiale allorchè Imola fu occupata dai Tedeschi: di rilievo quelle di partigiani di vario orientamento politico quali Aureliano Bassani, Amedeo Ruggi, Natale Tampieri e dell’ebreo Paolo Schweitzer Santarcangeli che fu nascosto nel Carmine fino alla Liberazione.

Nemico delle dittature, don Giulio Minardi a partire dal novembre 1943 iniziò ad ospitare non solo famiglie di sfollati e senza casa, ma pure partigiani, perseguitati, ricercati, renitenti alla leva fascista della Repubblica di Salò, in vari luoghi: non solo nella canonica e nelle cantine del Carmine (dove trovarono rifugio oltre 120 persone), ma anche nel monastero delle Clarisse (una ventina), nell’Istituto Santa Caterina (una quindicina), nella colonia agricola di Ortodonico (una quarantina), oltre ad altri luoghi sicuri, in totale si parla di circa 275 persone.

Oltre agli italiani, si trattava anche di alcune famiglie di Ebrei e di ex prigionieri Russi, Polacchi, Lussemburghesi sfuggiti ai Tedeschi.

Nel durissimo autunno-inverno del 1944 il Carmine ebbero luogo parecchie riunioni di partigiani e del CLN imolese e nei vari rifugi trovarono posto armi e munizioni della Resistenza; quel Natale don Giulio celebrò una messa di mezzanotte nella sacrestia del Carmine stipata dagli ospiti ed illuminata da corrente creata da una dinamo fatta funzionare a pedalate di bicicletta.

Oltre alla folla di persone, a Santa Caterina c’erano parecchie bestie: 10 bovini, 2 cavalli, 1 asino, 7 suini, tacchini, oche, galline, tutti animali consegnati da contadini per sottrarli alle requisizioni dei nazifascisti. Inoltre funzionava una grande cucina per sfamare con il poco che c’era tutta quella gente.

Non solo: divenuto cappellano delle carceri di Imola gestite dai fascisti repubblichini, confortava i detenuti e garantiva i rapporti con i familiari.

Ovviamente queste cose erano estremamente pericolose, don Giulio rischiava tutti i giorni l’arresto e la fucilazione, per cui se le cose andarono bene fu anche merito dei fidati collaboratori dei quali si circondava, nessuno dei quali mai tradì né fece la spia: in seguito egli affermò sempre che non si era trattato di coraggio, ma di un “dovere”, una coerenza nel fare il bene della gente semplice contro la violenza ed i soprusi.

Abbiamo le testimonianze dei partigiani che uscirono dai rifugi del Carmine la mattina del 14 aprile, giorno della Liberazione di Imola, armi in pugno e con fazzoletti rossi ed altri segni per presidiare la città, e di Aureliano Bassani che da una finestra nella tarda mattinata vide sfilare davanti al Carmine le truppe italiane della Friuli (che combattevano al fianco degli Alleati), poi nel pomeriggio giunsero in città i liberatori Polacchi.

Tutta questa storia fa ben capire quanto fossero meritati i gesti di ringraziamento citati all’inizio e quanto sia importante non dimenticare e tramandare la memoria di quei fatti.

(Marco Pelliconi)