In occasione dei 100 anni dalla nascita del Partito comunista d’Italia pubblichiamo questo articolo di Riccardo Cristiano per gentile concessione di Ytali.
Le convulsioni della politica non potevano e non dovevano oscurare il centenario del Partito comunista italiano. Senza confondere i piani e gli interessi, credo però che meritasse attenzione anche il dibattito svoltosi al congresso di Livorno, quello che diede origine alla scissione che portò alla nascita del Partito comunista d’Italia. Di quel congresso credo che l’intervento pronunciato da Filippo Turati meriti oggi la nostra attenzione, in particolare per quattro punti che qui elenco con estrema sinteticità, sperando di non fare danno al senso complessivo del discorso.
Primo punto: La violenza è il contrapposto della forza, la violenza è anche la paura, la poca fede nell’idea, la paura delle idee altrui, il rinnegamento della propria idea.
Questo è il primo punto, strettamente collegato al secondo: La violenza, che per noi non è un programma, non può e non deve essere un programma, che alcuni accettano in toto e vogliono organizzare e preparare – i cosiddetti comunisti puri, chiamateli come volete – che altri accettano a mezzo, guadagnando tutte le conseguenze dannose e nessun utile che la violenza potrebbe per avventura, nella mente di quegli altri, contenere in sé, noi, come programma, la rifiutiamo. La dittatura del proletariato, per noi, o è dittatura di minoranza, e allora è imprescindibilmente dispotismo tirannico, o è dittatura di maggioranza, ed è un vero non senso, perché la maggioranza non è dittatura, è la volontà del popolo, è la volontà sovrana.
Il terzo punto, per me quello oggi più importante, è questo: Il proposito della costrizione del pensiero allʼinterno del Partito, la persecuzione dellʼeresia, da cui nasciamo.
Il quarto punto ci riporta alla portata “universale” del primo punto: per Turati la stessa forza millenaria del cristianesimo diventò misera, falsa, traditrice, ipocrita, nulla, impotente quando si appoggiò ai troni, alle armi, a tutte le forze della violenza.
Non intendo, ricordando questi punti, polemizzare con chi li ha rimossi, o con chi non li condivise. Credo che sarebbe presuntuoso e poco significativo. L’idea di rivoluzione era molto chiara nel discorso di Turati in questo no: il fatto volontario di un giorno o di un mese o di qualche mese, lʼimprovviso alzarsi di un sipario, il calare di uno scenario nuovo.
Guardiamo a oggi. Il conservatorismo cattolico negli Stati Uniti è arrivato in alcuni suoi picchi a seguire Trump anche nelle ore dell’assalto a Capitol Hill partendo da un assunto: un sistema che legifera per l’aborto è illegale. Altrove il conservatorismo islamico si è fatto pura repressione in nome della proclamata priorità di sradicare il terrorismo.
Il terrorismo aveva già fatto della stessa religione un’ideologia anti-occidentale usando anche la forza del nichilismo alle cui cause nessuno guarda proprio perché coperto dal manto nero del terrorismo. Così il conservatorismo islamico si è fatto terrorismo di Stato contro il terrorismo dei terroristi. È emerso poi il neo-nazionalismo, che si è fatto anch’esso violento, di un’altra violenza anti-violenta, vedendo nelle élite e nei profughi gli aggressori dall’alto e dal basso.
Così il nazionalismo si è ammantato di un nazionalismo religioso identitario per definire la propria identità nell’opposizione agli altri. Possiamo dedurne che la fine delle ideologie ha trasferito il discorso della violenza ai campi religiosi trasformando le religioni in ideologie. Tutto questo non ha qualcosa a che fare con l’idea di violenza illustrata un secolo fa da Turati? E nella sua appassionata difesa dell’eresia (non violenta) non c’era la preghiera (laica) di stare alla lontana da quel pensiero rigido (cioè morto) che avrebbe portato a discutere di trattini (marxismo leninismo o marxismo-leninismo?) invece che della realtà? Questa eresia del pensiero vivo è intrisa di attualità. E siccome a proposito della storia del movimento operaio si è sovente accostato il Partito comunista alla Chiesa, o a una Chiesa, credo che l’esortazione a riscoprire la vitalità del pensiero eretico la possiamo dire meglio, molto meglio di come l’ho presentata qui io rileggendo quanto detto da un papa, Francesco, ai suoi “intellettuali organici”, gli scrittori de “La Civiltà Cattolica”: Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente che conosce la via umile della cocciutaggine quotidiana, e specialmente dei poveri. La sapienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita. Ma bisogna penetrare l’ambiguità, bisogna entrarci, come ha fatto il Signore Gesù assumendo la nostra carne. Il pensiero rigido non è divino perché Gesù ha assunto la nostra carne che non è rigida se non nel momento della morte.
Tornare a Livorno con l’esperienza di un secolo di storia non servirebbe a dare ragioni postume, che non servono a nessuno, ma a cercare di penetrare davvero l’ambiguità della vita. Insieme.
(Riccardo Cristiano)