Inizia con questo, una breve serie di articoli storici, opera di Roberto Zani, che ripercorrono Imola nei mesi cruciali (tra la fine del 1920 e la metà del 1921) dell’ascesa del fascismo e la presa della città.
La durissima vertenza che aveva caratterizzato le campagne emiliane durane il raccolto del 1920 aveva visto vincitori i braccianti della Federterra, l’organizzazione più combattiva della CGdL.
Tuttavia numerosi possidenti dell’Agraria non vollero riconoscere il concordato finale e cominciarono ad alimentare il fenomeno dello squadrismo: bande armate di fascisti che devastavano le sedi delle leghe bracciantili, le cooperative, le case del popolo rurali… Il cosiddetto “Fascismo Agrario” (che non fu pianificato da Mussolini e che rischiò anche di sfuggirgli di mano a causa dell’indisciplina dei ras locali) rilanciò e diede una nuova identità a un movimento che, dopo la batosta subita alle elezioni del 1919, sembrava non avere un futuro.
Ben presto ci fu un ulteriore salto di qualità: con la strage di Palazzo D’Accursio del 21 novembre 1920 avvenne la conquista da parte del fascismo di Bologna, la prima città a fare questa fine. E a finire immediatamente al centro dell’attenzione dei nuovi padroni fu la roccaforte rossa della provincia, cioè Imola (gli altri capoluoghi della regione saranno oggetto di conquista molto più tardi da parte dalle terribili squadre ferraresi organizzate da Italo Balbo).
Imola venne subito presa di mira anche perché ai vertici del fascio di Bologna c’erano due uomini che provenivano dall’imolese e covavano vendetta: Gino Baroncini (ex capolega socialista di Ponticelli) e Dino Grandi (futuro autore della mozione che decretò la caduta di Mussolini nel luglio del 1943). Grandi si era da poco trasferito a Bologna dopo aver subito un attentato in centro a Imola – da parte di anarchici rimasti ignoti – ancor prima di aver dichiarato pubblicamente la sua adesione al fascismo.
Perciò si riaprì questa contesa tra Bologna e Imola dalle antiche tradizioni (1). Imola risultò subito un osso duro poiché le diverse componenti della sinistra imolese collaborarono in modo armonico, partecipando ognuna con le proprie prerogative alla difesa comune.
Subito dopo la strage di Palazzo D’Accursio si ebbero un paio di falsi allarmi: nel primo, alla notizia dell’arrivo dei fascisti bolognesi la campana del Comune risuonò come convenuto; i ras bolognesi meditarono anche una spedizione durante le sedute del convegno nazionale della frazione comunista che si tenne nel teatro di Imola (la località venne scelta tra l’altro proprio per la sua sicurezza). Ma bastarono alcune telefonate dei socialisti “legalitari” come Romeo Galli alle autorità imolesi e bolognesi; i tempi non erano ancora maturi e un’iniziativa dei fascisti bolognesi si sarebbe risolta in una cocente sconfitta.
Gli imolesi accelerarono l’organizzazione delle loro Guardie Rosse, milizie armate del Partito Socialista organizzate dal figlio del deputato Anselmo Marabini, Andrea, e composta per la stragrande maggioranza dai militanti della Federazione Giovanile, che passarono in massa al nuovo Partito comunista nato dalla scissione di Livorno. La milizia era organizzata per quartieri e frazioni e poteva contare sui “ciclisti rossi”, che portavano ordini e comunicazioni urgenti da un luogo all’altro.
I bolognesi compirono allora una prima mossa tattica: il 7 dicembre 1920 un centinaio di fascisti guidati da Baroncini e da un possidente locale invasero Castel San Pietro, terrorizzarono e picchiarono i passanti, devastarono la Camera del Lavoro, la Cooperativa birocciai, invasero il municipio e addirittura le aule scolastiche durante le lezioni.
Forti di questa testa di ponte organizzarono il 12 dicembre 1920 una grossa spedizione verso Imola, ma la roccaforte era ben preparata: all’avvicinarsi della colonna nera i ciclisti rossi, sparsi lungo la via Emilia, diedero l’allarme: suonò la campana del Comune, si chiusero i negozi e le squadre delle Guardie Rosse (accompagnate da una numerosa cittadinanza, curiosa e partecipe) si radunarono nei punti convenuti dal piano di difesa, in buona parte tra Porta d’Alone (Porta Bologna) e la zona del convento dei Cappuccini; in prima linea, all’altezza della chiesa di Croce Coperta, si piazzarono gli anarchici con la mitragliatrice. I fascisti giunsero in prossimità del Piratello e si ritirarono.
Apparve così necessario ai fascisti prendere Imola con un lavoro più lento di penetrazione dall’interno. (continua)
(1) Le notizie sul primo scontro tra fascisti bolognesi e Imola son tratte in gran parte da Luciano Bergonzini, La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti. Vol. I, Istituto per la Storia di Bologna, 1967 e Nazario Galassi, Il Fascismo a Imola (1914 – 1929), University Press Bologna, 1993.
(Roberto Zani)