Cuba avrà presto un vaccino anti-Covid di propria fabbricazione, anzi potrebbe averne vari, con effetti e durata diversi. La notizia sta facendo il giro del mondo. Se n’è accorto finanche il Corriere della Sera. L’1 marzo il vaccino cubano Soberana 02 entrerà infatti nella terza fase di sperimentazione clinica, l’ultima. Poi si provvederà a vaccinare gli 11 milioni di cubani per raggiungere la cosiddetta immunità di gregge. Una volta approvato con clausole internazionali il vaccino – annunciano le autorità cubane – sarà disponibile per tutti gli 11 milioni di abitanti dell’isola. In concomitanza, si provvederà pure a vaccinare gratis i turisti che lo vorranno, in modo da incentivare la ripresa del turismo. Si calcola che Cuba possa produrre 100 milioni di Soberana entro il 2021.
È un grande successo della farmaceutica e della ricerca cubane. Una piccola isola che subisce l’embargo economico degli Stati Uniti dal 1962, in crisi economica interna, colpita anch’essa dal Covid, sta riuscendo nell’impresa di essere tra i Paesi produttori di vaccini. L’annuncio ufficiale lo ha dato Vicente Vérez, direttore dell’Istituto Carlos J. Finlay che prende il nome dal medico cubano che sconfisse la “febbre gialla”, dove si stanno perfezionando i campioni di Soberana: “Non siamo una multinazionale che considera una priorità il profitto finanziario. Il nostro obbiettivo è creare salute, perciò la distribuzione commerciale avrà una strategia umanitaria a prezzi contenuti”. L’area di distribuzione sarà innanzitutto in America Latina e nei paesi del Terzo mondo. In Italia, Gino Strada (Emergency) ha subito valorizzato questo modo di socializzare il vaccino cubani.
Un italiano fra i ricercatori
Tra i ricercatori dell’Avana, c’è Fabrizio Chiodo del nostro Consiglio nazionale delle ricerche, professore di chimica che collabora con l’Istituto Finlay e con l’Università della capitale cubana dal 2014. Chiodo in varie interviste, ha spiegato che i cubani hanno sostenuto tutte le prove di test sui loro vaccini. Da qui la convinzione di essere molto vicini al successo che premia gli investimenti pluridecennali di Cuba nella ricerca scientifica e farmaceutica. Molti italiani hanno scoperto questa potenzialità un anno fa, quando medici e infermieri cubani sono arrivati a darci una mano nella lotta contro il Covid in Piemonte e Lombardia.
Le autorità cubane insistono nel sostenere la bontà delle virtù del proprio vaccino che si sta sperimentando su oltre 40 mila volontari che già in aprile potrebbe esaurire la fase di sperimentazione. Oltre a Soberana 02, l’Istituto Finlay sta sviluppando il vaccino Soberana 01, attualmente in Fase II di sperimentazione clinica. Il Centro di ingegneria genetica e biotecnologia cubano sta testando altri due vaccini: Abdala e Mambisa. È un risultato eccezionale della ricerca medica cubana. Come è un miracolo politico discutere ancora nel 2021 del “caso cubano” e delle sue evoluzioni, dopo tutto quanto è accaduto nelle altre capitali del “socialismo reale” a più di trent’anni dal 1989, quando cadde il Muro di Berlino. Ed è difficile pensare che questo sia spiegabile con lo schema di comodo “Cuba uguale Stato repressivo”. C’è qualcosa di più profondo che spiega questa resistenza prima a Washington, che decretò l’embargo economico unilaterale nel 1962 che dura tuttora, e poi alla fine nel giro di pochi mesi dei rapporti privilegiati con i paesi del cosiddetto “socialismo reale”.
A uno sguardo attento, l’isola appare dopo tanti anni molto diversa da quella del 1989-1990 e del periodo especial che chiudeva le sue relazioni politiche di favore con Mosca e perdeva l’80 per cento degli scambi della propria bilancia commerciale. Anzi, si può dare il giudizio che la “transizione” verso il futuro sia già avviata da tempo. Turismo di massa, imprese miste e a intero capitale privato, zone a economia franca, liberalizzazione del dollaro, lavoro privato su scala familiare nei settori dell’artigianato e dei servizi al dettaglio hanno cambiato la faccia dell’isola. Pianificazione e centralizzazione sono meno asfissianti di prima e nelle strutture statali – perfino nell’esercito – si fa strada l’idea che produttività e efficienza debbano coniugarsi con l’idea rinnovata di socialismo (lo Stato non copre più i buchi del deficit dei diversi settori produttivi).
Per contrastare la crisi economica, il governo cubano ha annunciato nei giorni scorsi la fine ulteriore dell’economia statalizzata: l’elenco delle attività che d’ora in poi potranno essere gestite da imprese private passa da 127 ad oltre 2.000. Marta Elena Feito, ministro del Lavoro, ha dichiarato lunedì scorso che solo una minoranza di settori strategici (124 in tutto) sarà riservata allo Stato. Tra questi, salute e sviluppo dei vaccini. Tutto ciò avviene mentre una riforma dei salari e delle pensioni ha elevato i redditi non riuscendo a tenere a bada l’inflazione dei prezzi.
Le contraddizioni di questo nuovo indirizzo sono però molteplici, innanzitutto sul piano sociale. Al vecchio egualitarismo si è andato sostituendo uno statalismo che assicura a prezzi politici sanità, istruzione e diritti sociali pur non riuscendo a pervadere come prima tutta la vita economica e sociale. Nonostante le contraddizioni, è difficile tuttavia individuare un altro Paese che abbia avviato una transizione di tali dimensioni riuscendo a ridurre al minimo i contraccolpi sociali. Neoliberismo e ricette del Fondo monetario internazionale attuano politiche economiche con ben altri effetti devastanti sul resto dell’America Latina.
Le contraddizioni del cambiamento
Attualmente la principale fonte di ingresso di valuta per Cuba non è il turismo, per altro bloccato da un anno per via della pandemia. Bensì la cooperazione internazionale con altri Paesi del Terzo mondo. L’Avana infatti esporta medici, infermieri, ingegneri, architetti, tecnici in genere con appositi contratti di cooperazione insieme ai propri prodotti farmaceutici. Cuba si è sempre pensata dopo la rivoluzione del 1959 – questa è una delle sue peculiarità – come il luogo di produzione di “cervelli” e professionalità utili alla causa di emancipazione dei Paesi arretrati: una sorta di avamposto culturale e scientifico da cui attingere (era una delle idee-forza di Fidel Castro).
L’isola ha perciò primati di cui fregiarsi in campo sanitario, culturale e scientifico. Per riconoscimento unanime della comunità internazionale, una delle principali conquiste della rivoluzione è il sistema sanitario pubblico che colloca Cuba ai primi posti nella classifica dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Tra i tanti record: 1 medico ogni 170 abitanti con privilegio della prevenzione. Policlinici in ogni municipio cubano. La speranza di vita – attestatasi oltre i 75 anni – non ha eguali in altri Paesi del Terzo mondo. La mortalità infantile è stata ridotta a percentuali di tipo europeo. Nell’isola si praticano interventi chirurgici di tutti i tipi, compresi i trapianti di organi. In via di potenziamento costante è pure l’industria farmaceutica che produce interferone (la proteina generata spontaneamente dall’organismo umano come difesa nei confronti di batteri e virus), melagenina, vaccini contro la meningite B (scoperti da Concepción Campa, direttrice dell’Istituto Finlay a L’Avana) che vengono usati in molti Paesi latinoamericani, sistemi di rapida diagnosi del virus Hiv dell’Aids (Recvith), un farmaco denominato Ppg che tiene sotto controllo il colesterolo e un altro che combatte la meningite da meningococco, protesi meccaniche, vaccini.
Pure la ricerca è all’avanguardia con il Polo scientifico, di cui fanno parte l’Istituto Finlay che indaga sulle malattie infettive, il Centro d’ingegneria genetica e biotecnologia, il Centro di Immunotest. Tutto ciò spiega i successi della lotta contro il Covid del Centro di immunologia molecolare, dove si producono anticorpi monoclonali e si sperimentano vaccini contro il cancro (Cuba detiene il brevetto di un vaccino antitumorale quando sono colpiti i polmoni). Eppure le due facce di Cuba convivono con difficoltà: eccellenze in alcuni settori, penurie economiche nell’organizzazione complessiva della società. Malessere soprattutto tra i giovani che chiedono “dialogo” e maggiori libertà individuali (nelle scorse settimane ci sono state manifestazioni e tensioni nel settore della cultura).
L’ombra di Washington
Nell’analizzare il presente e il futuro dell’isola c’è sempre bisogno di un ulteriore supplemento di analisi. Quella cubana è una rivoluzione nazionale che conserva, prima ancora di un profilo “socialista”, un elemento indipendentista difficile da incrinare del tutto. A Cuba, altro dato da tenere in considerazione, c’è un sistema sociale peculiare che assicura consenso al potere politico malgrado le troppe difficoltà della vita quotidiana: servizi sociali, occupazione, istruzione e sanità di base in cambio di bassi salari, bassa intensità di lavoro, limitate libertà individuali e contingentamento dei beni di prima necessità. Pur tra mugugni e legittime aspirazioni a maggiori consumi, i cubani sanno di vivere meglio di molti cugini latinoamericani. Se inoltre si analizza l’intero arco della storia cubana di nazione indipendente, non si può inoltre sfuggire alla valutazione che gli anni seguiti alla rivoluzione del 1959 sono il più lungo periodo di stabilità politica vissuto dall’isola. Di conseguenza, qualsiasi ipotesi di cambiamento traumatico si scontra con il timore per quello che può accadere e per la fine di un ordine discutibile, ma comunque stabile.
A frenare cambiamenti di sistema all’interno dell’isola ci pensa pure la politica degli Stati Uniti che fa scoppiare in controtendenza un sano nazionalismo. Non si può parlare di Cuba, neppure degli avvenimenti degli ultimi anni, senza analizzare la politica di Washington contro l’Avana: sarebbe un errore di metodo e un errore politico. Gli anni di Trump hanno lasciato il segno con il ritorno al gelo dei rapporti diplomatici e con provvedimenti che puntavano all’asfissia della gracile economia dell’isola. Al presidente attuale Joe Biden spetta il compito di riportare le lancette dell’orologio delle reciproche relazioni ai tempi di Barack Obama che andò in visita a L’Avana nel 2016 e avviò la normalizzazione dei reciproci rapporti.
La scommessa di Cuba nel presente – in tempi di Covid e conseguente crisi economica mondiale – è smentire ancora una volta le cassandre, dimostrando di avere più vite delle sette che di solito si attribuiscono ai gatti.
(Aldo Garzia, a lungo corrispondente del Manifesto da L’Avana)