L’attacco dei fascisti bolognesi del dicembre 1920 avvenne quando il fascismo a Imola era ancora un fenomeno esogeno. L’unico riferimento locale dei fascisti bolognesi era Giacobbe Manzoni, fattore della famiglia Mambrini e presidente dell’Agraria imolese. Aveva condotto l’organizzazione durante lo scontro con la Federterra del 1920 portandola su posizioni talmente reazionarie fino a staccarla dall’associazione provinciale.
Manzoni si autodefiniva “l’unico fascista imolese” e raccontò che gli iscritti al Fascio (oltre a lui stesso) erano il “picchiatore” Nino Pollini, il tenente Sandro Bernardi e l’agricoltore Celso Balducci.

All’epoca l’economia imolese era prevalentemente agricola, perciò la classe padronale locale era ancora costituita da famiglie nobili e possidenti (Ginnasi, Augusto Alvisi…) che in maggioranza appoggiavano le posizioni del loro presidente. C’era poi la simpatia più o meno esplicita dei commercianti che si erano arricchiti durante la guerra e avevano subito la rabbia popolare durante i moti del carovita del 1919 scatenati dagli anarchici.

Non mancavano quindi i mezzi a Manzoni e Pollini per reclutare un gruppo di ragazzi – molti dei quali giovanissimi – che come molti loro coetanei imolesi erano disoccupati, sbandati e abituati al clima violento del dopoguerra. Soldi, benefit vari, promesse di una futura sistemazione e un “corso teorico” molto accelerato ne fecero il primo nucleo fascista imolese.

Giacomo Dal Monte Casoni

Sul piano delle alleanze politiche il Partito Popolare (come a Bologna) si rese subito disponibile in chiave antisocialista. I suoi principali esponenti erano Domenico Ravanelli, mezzadro di Toscanella e Giacomo Dal Monte Casoni, legale della famiglia Pasolini.

Amadeo Bordiga

Tra le fila della sinistra la situazione invece si era indebolita: la scissione di Livorno del gennaio 1921 vide la nascita del PCd’I: la maggioranza degli iscritti al PSI imolese seguì i suoi deputati Anselmo Marabini e Antonio Graziadei nel nuovo partito, che vi entrarono su posizioni moderate. Se non vi furono grandi strascichi e asprezze tipiche delle scissioni, il Pcd’I guidato da Amadeo Bordiga era nato però con l’obiettivo di “fare come in Russia” quasi ignorando che il periodo favorevole si era concluso: ne conseguì una sottovalutazione del ruolo strategico del fascismo e i comunisti si limitarono a rispondere – quando possibile – alle provocazioni.

Anselmo Marabini

Invece i socialisti e la CGdL si erano subito posizionati sulla difensiva e per mantenere le conquiste del biennio precedente, rimanendo su posizioni legalitarie mentre però le autorità statali entravano a far parte del nuovo blocco reazionario.

Errico Malatesta

Gli anarchici avevano compreso che una reazione senza precedenti sarebbe seguita a una stagione rivoluzionaria inconcludente (posizione esplicitata dal loro leader carismatico Errico Malatesta, ma anche da Antonio Gramsci). E poiché il fascismo stava facendo della violenza lo strumento per la conquista del potere, era necessario contrastarli sullo stesso terreno, ben sapendo da che parte si sarebbe schierato lo Stato. Il gruppo anarchico imolese era una minoranza agguerrita ma bene organizzata: in quegli anni era anche alla guida della sezione locale del secondo sindacato italiano per numero di iscritti, l’Unione Sindacale Italiana, caratterizzato da posizioni sindacaliste rivoluzionarie e che contava numerosi iscritti nei lavoratori urbani imolesi, specie nella categoria dei muratori.

Tali caratteristiche (oltre a ovvi motivi ideologici) rendevano gli anarchici la compagine più odiata dai fascisti.
La crescita del movimento di Mussolini e i gravi episodi di violenza che dalle campagne si stavano diffondendo anche in altre città, la stessa nascita dell’embrione imolese cominciavano a dare i loro frutti e in pochi mesi il clima era cambiato.

Occupazione di Bagnara prima dell’assalto a Ravenna (10 settembre 1921, Archivio Cidra)

Così Il 9 aprile 1921 il gruppetto di giovani fascisti si infilò in una manifestazione del PPI e alla fine si palesò platealmente. Scoppiò una colluttazione con un gruppo di operai e un ex ufficiale con simpatie fasciste sparò, ferendo un camerata diciottenne. Luigi Galanti (1) e creando un pretestuoso incidente.


10 aprile 1921 prima entrata dei fascisti a Imola (Archivio Cidra)

Lo stesso giorno circa 200 fascisti bolognesi occupavano nuovamente Castel San Pietro e l’indomani partirono da Toscanella verso Imola: trovarono un centinaio tra soldati e carabinieri a un posto di blocco sulla via Emilia che, anziché bloccarli, li scortò (anche per evitare eccessi). La città era semideserta e i fascisti, giunti fino alla piazza centrale, bastonarono tre passanti. Al ritorno furono festeggiati a Toscanella da Gino Baroncini e dal “padrone di casa” Ravanelli che aveva radunato le fratellanze coloniche cattoliche. Lo stesso giorno alcune squadre si diressero in pianura a Mordano e Medicina, altre in collina tra Sassoleone e Giugnola, dove devastarono diverse sedi di cooperative e circoli socialisti. La roccaforte rossa era stata violata e un cerchio nero le si stava stringendo intorno. (Continua)

(1) Notizie degli avvenimenti da parte fascista sono tratti da Pietro Cenni, Dal Risorgimento all’impero: Imola dal 1796 al 1936, Coop. tip. ed. Paolo Galeati, 1938.

(Roberto Zani)