Cinque anni dopo lo schiaffo del Senato americano, il giudice Merrick Garland ha avuto la sua riscossa, diventando il procuratore generale degli Stati Uniti del presidente Biden, l’equivalente del nostro ministro della Giustizia. Negli ultimi anni Garland è stato famoso per il lavoro che non ha ottenuto. Il trattamento riservatogli dai senatori repubblicani nel febbraio 2016, quando Obama lo nominò per sostituire il defunto Antonin Scalia alla Corte Suprema, fu di rara crudeltà. Il giudice era un candidato ineccepibile, una scelta “sicura” per Obama, con un passato da moderato uomo di centro, apprezzato dall’intero spettro politico. Sta di fatto che Mitch McConnell, allora leader repubblicano al Senato, stabilì che Garland non sarebbe stato nemmeno esaminato dal comitato giudiziario, rimandando il tutto al nuovo Presidente, che si sarebbe insediato un anno dopo.
Nell’ottobre 2020, a 30 giorni dalle elezioni presidenziali americane (non gli otto mesi che vennero contestati ad Obama) il leader di maggioranza al Senato, il repubblicano Mitch McConnell (sempre lui), ha garantito il voto in brevi tempi sulla nomina di Donald Trump per la successione di Ruth Bader Ginsburg, confermando Amy Coney Barrett quale nuovo giudice, per coprire il posto rimasto vacante.
La conferma di Garland a capo del Dipartimento di Giustizia è una storia sì di rivincita, ma soprattutto di meritocrazia che gli è valsa ben 70 voti al Senato, di cui 20 degli stessi repubblicani che nel 2016 gli rifiutarono anche solo un’udienza: e uno proprio di McConnell.
Il giudice Garland ha alle spalle una lunga carriera, dalla laurea con lode alla Harvard Law School al cancellierato presso la Corte Suprema, che lo ha portato a lavorare al Dipartimento di Giustizia durante gli anni della presidenza Clinton. È nel suo ufficio a Washington D.C. il 19 aprile 1995 quando la sua carriera di avvocato cambia traiettoria: arriva la comunicazione urgente di una forte esplosione ad Oklahoma City, in un edificio del governo federale, e lui diventa l’uomo del Dipartimento mandato sul posto del peggiore attacco terroristico interno nella storia degli Stati Uniti. Fu un evento che scosse le coscienze perché, fino ad allora, il terrorismo era concepito come un fenomeno internazionale. D’un tratto invece diventò un problema interno, americani che uccidono americani: nell’attacco persero la vita 168 persone di cui 19 bambini, poiché nell’edificio si trovava anche un asilo. Garland, allora non ancora giudice, condusse un’ottima ed efficace indagine prima, e accusa in tribunale poi; i due colpevoli, McVeigh e Nichols, estremisti antigovernativi, vennero condannati rispettivamente uno a morte e l’altro a 161 ergastoli e 93 anni di carcere. Non sarà stato nei suoi progetti, ma Merrick Garland divenne la principale autorità nazionale in materia di terrorismo interno. Dopo il 2016, con la sua candidatura alla Corte Suprema affondata, la carriera di Merrick Garland era considerata da tutti giunta al suo ultimo, amarissimo atto.
Il compito più arduo che aspetta il neoassunto è quello di restaurare la posizione e la credibilità del Dipartimento di Giustizia. Bill Barr, in carica con Trump, ha racchiuso in sé due ruoli che dovrebbero sempre restare distinti: quelli di procuratore generale e di avvocato personale del Presidente Trump.
“Penso che il procuratore generale debba essere il lavoro più difficile nel governo degli Stati Uniti”, ha detto durante le udienze di febbraio il senatore texano Cornyn, repubblicano, “perché sei chiamato a servire un presidente, ma hai anche l’obbligo di far rispettare la legge con uguaglianza ed equità”. “Non programmo di subire interferenze da parte di nessuno”, gli ha risposto Garland.
Be’, chi ben comincia è già a metà dell’opera, soprattutto se è un uomo paziente!
(Tiziano Conti)