A partire da lunedì 26 aprile molte delle restrizioni inflitteci dalla pandemia di covid vedranno la fine e un euforico senso di libertà ci invade. Inutile nasconderci dietro le parole: siamo semplicemente assetati di normalità. Questa parola che fino a non troppi mesi fa ci appariva quasi come sinonimo di “noia”, ora ci appare come una realtà da fin troppo tempo agognata.
Qualcuno ha detto che non vuole tornare a stare come prima, perché prima stava davvero male: da rifletterci su. Potremo permetterci cose fino a poco tempo fa impensabili, come sederci ad un tavolo all’esterno di un bar e leggere il quotidiano mentre ci gustiamo il caffè, risalire la nostra bellissima vallata in cerca di un goloso piatto di tortelli fatti come si deve e perfino offrire all’amico di sempre un aperitivo nel bar d’angolo. Un forte senso di libertà ritrovata ci pervade e ci permette sogni fino a poco tempo fa impensabili.
Chi ci dirige, al momento, quell’uomo chiamato dal Presidente Mattarella ad afferrare le redini di una carretta logora e incidentata lungo una strada piena di buche e di insidie, ha usato il temine “scommessa“: mai, forse, termine fu più appropriato. C’è chi scommette per gioco, chi lo fa per passatempo, chi è uso a gareggiare il quotidiano, chi lo fa per dipendenza, ma sono davvero pochi che lo fanno per necessità: è il nostro caso e non siamo pochi. I decessi si contano ancora a centinaia e i contagi a migliaia; gli ospedali sono a livello di allarme e le vaccinazioni a volte vengono indicate come successo e altre volte come esempio di imprecisione, mancanza, insufficienza.
Si tratta, invero, di una scommessa assai strana, decisamente insolita, che vede un solo contraente: ognuno di noi contro sé stesso. Ognuno di noi, nel proprio ruolo di vita, giocherà la sua partita contro sé stesso, quasi senza rendersene conto e si assegnerà, in assenza di giudice noto, la vittoria o la sconfitta. La sconfitta ci arrecherà un danno incalcolabile, un danno che peserà su tutti noi e in particolare sulle generazioni che ora stanno attendendo il proprio ruolo nella vita e la vittoria finirà per assumere un profumo di normalità, un effetto di “scontato”, un insolito senso di quotidiano.
Tutto attorno a noi, le figure che incontriamo lungo le vie della città, quelli che spingono il carrello del supermercato, quelli che accompagnano il figlio a scuola, quelli che passeggiano nei sentieri del parco sono afflitti e appesantiti dallo stesso problema: la ripresa della vita, quella normale. Unica regola della scommessa sarà quella di sempre, quella che fin troppo spesso dimentichiamo, quella che dovrebbe subentrare in ogni gesto della nostra quotidianità: la propria libertà deve avere confine esattamente dove inizia quella dell’altro. Eccedere nel proprio ruolo di libertà finirà, inevitabilmente, nel restringere nuovamente la libertà dell’altro e altrettanto inevitabilmente quella di noi stessi. Le regole del gioco erano, sono e saranno dure e inflessibili, rigide e ben marcate. Non è ammessa l’ignoranza delle stesse.
Ormai non pochi anni fa, De Andrè, in una delle sue tante e splendide canzoni, facendo il punto sulla nostra partecipazione alla cosa pubblica cantava così: per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti! Voi c’eravate. La canzone parlava di un’altra lotta, di un’altra storia, di altri tempi, ma in fondo, a ben vedere la lotta dell’uomo è sempre la stessa e la meta una sola: la qualità della propria vita.
(Mauro Magnani)