Quando ho un minuto libero, saltello di video in video su Youtube. Mi muovo a casaccio tra musica, boxe (antica passione), potatura dei bonsai (ne ho già uccisi una decina) e quello che capita sottomano. Ho la convinzione che gli spunti migliori arrivino dal nulla, quando meno te lo aspetti. Proprio in questo momento sto mescolando il ragù nella pentola di coccio, mia moglie smoccola e dice che c’è un tanfo che la casa sembra una succursale dell’Osteria di via Canedi. Clicco in maniera svogliata sulla video-compilation delle ultime magie di Neymar. Conoscendomi, i trick e track del brasiliano dovrebbero venirmi a noia in dieci secondi, invece, ecco che arriva il colpo di fulmine. In sottofondo va un brano che mi stacca le mascelle. È il piccolo tesoro di giornata che viene a galla. Chi è questo che canta? Due pigiate ai link e recupero titolo e autore. Mai ascoltato prima, nonostante il suo profilo possa vantare milioni e milioni di visualizzazioni. Già la cosa mi piega le ginocchia, perché scoprirmi all’oscuro di certi fenomeni è un brutto colpo. Io mi impegno a stare al passo con i tempi, non ho pregiudizi e mi apro a qualsiasi novità, ma c’è poco da fare, ci sono cose che a noi quarantenni (quasi cinquantenni, diciamo la verità) scivolano sotto le dita, da Tik Tok in giù. Ascolto quel pezzo tre volte, dopodiché, mannaggia a me, mi avventuro in un test che sarebbe sempre meglio evitare.

“Riccardo!” Chiamo mio figlio, dieci anni. Mi raggiunge, ha in mano una console e nell’altra un gatto. Mi guarda e già intuisce che lo sto sottoponendo a una delle mie verifiche, quelle che mi servono per capire quanto divario ci sia tra le nostre generazioni. Premetto che il ragazzo è sveglio, ho dovuto creargli un account su Youtube dopo che l’ho scoperto commentare a mio nome i video di Zerbiian, Feinxy o altri personaggi simili. C’è un limite a tutto, ora si prende la responsabilità di ciò che scrive.

“Te lo conosci questo?” Faccio partire la canzone.

“Non so il nome ma la canzone la conosco”. Canticchia una strofa, libera il felino e se ne va. Si gira con il piglio stizzito, gli ho fatto perdere due minuti per una banalità del genere. Io tra i denti lo mando a quel paese. Per un attimo vorrei corrergli dietro e fargli ascoltare che so… Jimi Hendrix? I Doors? E poi sfotterlo a morte perché non sa chi siano. Invece resto lì, con il mestolo nella destra, mentre alle mie spalle sfila mia moglie, sta sparando air fresh al pino silvestre, l’aroma di ragù si confonde con quello di un sintetico bosco alpino. Mi prende lo sconforto, riparo sui Pearl Jam, che gli anni Novanta non tradiscono mai.

Corrado Peli

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