Le situazioni sociali ed economiche difficili e complesse chiedono analisi oneste e soluzioni politiche il più possibile condivise. Quando in ballo ci sono aspetti dirompenti capaci di mettere a rischio la coesione sociale, fondamento della tenuta democratica, la politica con tutti i suoi attori deve agire senza incertezze.
E’ il caso della vertenza delicatissima dei licenziamenti potenziali, dibattito tra una possibile proroga e la libertà di azione: i Sindacati premono sul Governo perché blocchi i licenziamenti almeno fino a tutto il 2021, mentre le organizzazioni degli imprenditori auspicano più libertà di azione.
Dopo il salasso occupazionale causato dalla pandemia (tuttora in corso), parlare di licenziamenti è terribile e destabilizzante sul piano sociale e provocatorio su quello politico. In aggiunta, lo stillicidio di infortuni sul lavoro, sia mortali che invalidanti, impone una riflessione profonda sulle attuali politiche del lavoro.
La semplificazione delle procedure relative agli appalti introduce delle lodevoli intenzioni, ma scivola quando allenta la disciplina dei subappalti, dove spesso si annida il lavoro nero, malpagato e senza adeguata garanzia sulla sicurezza e la protezione sociale.
La tenuta del Governo Draghi è un obbligo dell’ attuale maggioranza, ma non a scapito dei lavoratori e del mondo imprenditoriale. E’ dovere comune la tutela del Lavoro quale alto valore sociale capace di stimolare il corretto approccio dei giovani al mondo delle attività.
Sul caso licenziamenti, la maggioranza deve trovare una soluzione equa superando massimalismi inutili ed egoismi fuori tempo. Il blocco dei licenziamenti non deve essere un provvedimento assistenzialista, ma un’ opportunità per consentire agli operatori e alle aziende un utile adeguamento alle nuove esigenze. Obiettivo che può essere raggiunto con il coinvolgimento di tutte le parti in causa e la mediazione del Governo.
1981, quaranta anni fa: una delegazione della Dc imolese incontrò l’ allora ministro delle Partecipazioni statali, On. Clelio Darida sullo stato di incertezza cronica che viveva la Cognetex, e che si andava aggravando, visto che l’ing. Piccinini, quale presidente del Gruppo intendeva chiudere lo stabilimento di via Selice per procedere al riassetto del meccanotessile. Si mormorava avesse già pronto il lucchetto per chiudere i cancelli.
Avuta conferma dell’imminenza del fatto, Darida sobbalzò e rivolto ai rappresentanti del Gruppo scandì: “Non fate a Imola quello che mi avete fatto fare in Sardegna, dove non posso più mettere piede. La Cogne resta aperta e operativa”. Il ministro Darida trovò una soluzione politica tampone che favorì la gradualità degli eventi successivi.
Dopo quaranta anni, andrebbe così anche oggi? L’ Italia non si può permettere di lasciare allo sbando migliaia di lavoratrici e lavoratori, nonchè tantissime aziende creando una tensione dai contraccolpi umanitari, famigliari ed economici dagli sviluppi incontrollabili.
L’ esercizio dell’ azione politica torni ad essere lo strumento per la composizione degli interessi in campo. Se al tavolo delle trattative si riconoscerà con forza il diritto alla dignità di ogni lavoratrice, di ogni lavoratore e del mondo imprenditoriale quali componenti di una società libera, coesa e operosa, sarà più facile trovare il necessario accordo.
Caro Draghi, “Qui si parrà la tua nobilitate”.
(Vittorio Feliciani)