La partecipazione: Gaber affermava, in una sua bellissima canzone, che la libertà è partecipazione, non stare sopra un albero o ammirare il volo di un insetto e aveva ed ha ragione. In assenza di partecipazione, a qualsiasi livello, non può esserci libertà. Quando una cosa qualsiasi, un aspetto della nostra vita ci viene imposto noi non siamo liberi. A volte non ce ne rendiamo conto a sufficienza e finiamo per trascinarci in un’esistenza scialba che sembra vissuta da altri e non da noi.
I giornali hanno spesso cercato la partecipazione da parte dei lettori, fin troppo spesso arrestandosi alla rubrica delle lettere, curata dal personale di redazione che cerca di individuare risposte non evasive o dure alle parole dei lettori. Questa non si può individuare come una vera e propria partecipazione, ma come un desiderio di manifestare, da parte del lettore con le parole della sua lettera, una propria idea circa un determinato argomento, aspettandosi parole di conferma o comunque una sorta di dialogo, ma il dialogo non si può arrestare a domanda e risposta. La partecipazione deve essere incondizionata, accettata nel suo valore più intrinseco, nella sua forma più vera: unico vincolo, il rispetto dell’altro, ma questo aspetto è irrinunciabile in ogni attimo della nostra vita di relazione.
Così è nata l’idea di #ioracconto. La vera partecipazione da parte del lettore alla vita nelle pagine del giornale. Interessante la domanda: “Perché se posso leggere le pagine pubblicate non vi posso scrivere”. “Per quale oscura ragione il personale di redazione scrive, riscrive, si scrive addosso e una mia sensazione, un mio attimo di vita, un mio sguardo non possono essere degni di attenzione, capaci di coinvolgere altri lettori che, come me, si incontrano, nel proprio silenzio, con il silenzio degli altri?”
Inizia in questo modo, impossibilitati a rispondere in altro modo a questo desiderio di partecipazione, la pubblicazione dei “Racconti”. Le sensazioni, le immagini costruite con le parole, la ricerca di un muto dialogo, il desiderio di condividere con altri, pur in assenza di risposta, un attimo di vita. Poi una sorta di muta denuncia, la capacità e il desiderio di rendere pubblico un proprio stato d’animo: la condivisione. E cosa altro è la condivisione se non l’essenza della partecipazione?
Quasi in silenzio, il primo racconto che trova spazio nelle pagine del giornale non assume la forma di righe di scrittura, ma immagini: Corrado ci fa partecipare ad un filmato tra le vie di Medicina. Lo scoppio della pandemia, così vicino a casa nostra, ci rende forzati partecipi ad una lotta che si preannuncia assai ardua. Il deserto nella piccola città è velato di un assordante silenzio. Il giorno dopo, Emilio, dal suo balcone in quel di Montericco, ci fa vedere la similitudine anche dalle nostre parti. I due interpreti/lettori ci illustrano il grido del silenzio.
La prima a prendere in mano la tastiera è Laura, che ci stimola con un “Ci andiamo dietro … forza e coraggio”, ma Paolo ha da poco scritto “Imola, una città in silenzio”. Chissà quanti di noi, leggendo le righe riportate, hanno meditato, condiviso, si sono sentiti frustrati, prigionieri: Per questi ultimi sopraggiunge Emilio con le splendide parole dal titolo “La più bella prigione del mondo”. Ci sono di conforto anche le parole della Libreria Atlantide, che ci ricorda la serrata forzata del negozio, ma ci solleva affermando che “…i libri ci saranno sempre!” Ho finito per rileggere il pezzo riflettendo sulla verità di queste parole e guardando la piccola (non tanto piccola) catasta di libri sul piano della cassettiera in attesa di essere riposti, con ordine, sui ripiani delle librerie e delle scaffalature. I libri già letti. Quante ore nel silenzio e nella forzata clausura trascorse sulle pagine. Non poi tutto il male viene per nuocere …
Ma sto divagando. “Drive, Classroom, Google Meet, una giornata di didattica on line”: intervengono i docenti della scuola primaria Ic2 di Imola. L’effetto della pandemia sulla scuola, sui nostri ragazzi, il nostro domani. Pagine che lasciano il segno e che ci colpiscono rammentandoci la mole di problemi tutto attorno a noi. Più intima, quasi un sussurro, quello di Annalaura: ci descrive la sua quarantena, le sue rinunce, le sue speranze. Da poco usciti dalle dolci parole di Annalaura, arriva Augusto che titola “imprigionati in una sorta di film apocalittico”: in pratica, come scriveva Dante “Lasciate ogni speranza …”
Quasi a ribattere Augusto ecco Andrea che osserva l’auto del suo vicino di casa, ferma da oltre due settimane e ci scorge, nella carrozzeria, un clandestino: una coppia di piccoli uccelli ha costruito il proprio nido. Il rovescio della medaglia: quando tutto sembra irrimediabilmente fermo, qualcosa continua ad andare avanti: una piccola e dolce poesia non riportata in versi. Ci riportano alla dura nostra realtà i Ragazzi delle Prime C e D dell’Innocenzo da Imola con “Quando un posto diventa un Luogo”: la triste e cruda vicenda del pozzo Becca. In quei tempi la faceva da padrone il più brutto virus che mai abbia colpito l’uomo: l’odio. Per non dimenticare. Grazie Ragazzi!
Non potevo mancare anch’io, cercandomi di nascondere tra i lettori riportando una storia “Di nasse e di solidarietà” che mi ha colpito molto intensamente: una sorta di catena per la sopravvivenza, il silenzioso aiuto reciproco per arrivare a sera di un gruppo di persone che vivono gli uni per gli altri, con gli altri. Poi, ria sorte, un anello della catena si rompe e mi sono chiesto a lungo come avrebbe resistito tale catena di solidarietà. Ma, come da mia pessima abitudine, sto approfittando del mio ruolo e rubo spazio alla vera vita del giornale, voi lettori.
Il richiamo all’attenzione ci giunge da Laila con precise parole nel suo “Perle di eccellenza: in una fragile sanità pubblica.” Splendore e miseria di una realtà che ci tocca da vicino. Da molto vicino: da non dimenticare! E’ il 30 luglio.
Ma arriva l’autunno e ci presenta il conto relativo alla nostra superbia messa in luce nell’acquisire una libertà che, ancora immatura, ci ha reso ebbri: si ricade nei contagi, nelle chiusure, nei ricoveri, nei lutti. Suona la campanella di allarme Giuseppe con le sue parole contenute nel “Lockdown da Corona Virus: ci risiamo.” Poi Walter ci parla “Dei cattivi maestri del covid 19” aprendoci la finestra sulle facili parole, le affermazioni di poco conto, gli interventi troppo facili di tanti attorno a noi, anche di chi è investito di ruoli non di second’ordine. Bravo Walter.
Non poteva certo mancare il direttore Valerio (nei panni di un lettore partecipante …) che traccia, da par suo, una sorta di parallelo tra gli aspetti decisivi nella nostra vita di comunità, facendo suonare un campanello di allarme con “Corona virus, scuola, politica e altre storie.” Non si è approfittato del suo ruolo (non lo fa mai!) ma cerca di farci condividere i suoi dubbi, i suoi timori o, forse, le sue temute certezze. A fine anno, la vigilia di Natale, prendo la tastiera con rabbia e dopo aver letto sui social che sul mercato del Web sono in vendita vaccini al “nero” butto giù parole cattive, non proprio natalizie. Il miraggio dei vaccini in arrivo, la luce di speranza che rappresentano accendono gli aspetti peggiori dell’uomo: dovremo conviverci per sempre?
All’inizio del nuovo anno, Lina, ci propone il suo “2020, un anno difficile”. Un sunto prodotto da “chi sa”, poche parole chiuse in brevi frasi. Parole dure, sentite, provate.
Ma la partecipazione prosegue in un crescendo che ci inorgoglisce (noi della Redazione) e finisce nel renderci davvero partecipi con i lettori di Leggilanotizia: Alessandro, Francesca, Lia, Milena, Mirka, Carmen e mi fermo qui ma ne posso riscontrare tanti altri e altre. Una ricchezza inaspettata e non sperata. La condivisione e la partecipazione. Tutto il resto è solo contorno.
Nella certezza nell’incontrare altro desiderio di partecipazione nei giorni a venire, ripongo i fogli di appunti, la matita ormai ridotta a un mozzicone, la gomma indurita dal tempo ma che ancora funziona e con un soffio ne allontano i trucioli. Quanti nomi, storie, parole, pensieri, sensazioni, denunce, grida: la storia di tutti noi.
Grazie.
(Mauro Magnani)