Una sfida che non scalda i cuori. Né dal punto di vista politico, né da quello civico-amministrativo. E neppure, se vogliamo essere proprio sinceri, per quel che riguarda i personaggi: entrambi carini, perfettini, sufficientemente costruiti, politicamente corretti (almeno finchè non si sono reciprocamente pestati i piedi). Ma sicuramente nessuno dei due particolarmente empatico. Isabella Conti e Matteo Lepore sono la fotografia di una Bologna che non riesce a fare lo scatto, ma si accontenta di uno stanco e tranquillo tran-tran. Entrambi (giustamente) ambiziosi, entrambi (purtroppo) incapaci di farci sognare.
L’elezione del nuovo sindaco di Bologna può essere l’apertura di un nuovo capitolo glorioso per la città. Per adesso non si vede questa opportunità. Tre gli scenari possibili. Il primo: fare di Bologna, di nuovo, un laboratorio politico nazionale. Si poteva provare a costruire e sperimentare quella alleanza progressista con un programma che sul sociale, sul green e sul lavoro andasse oltre gli slogan. Dal Pd alla sinistra delle varie sfaccettature ai Cinque Stelle (e di conseguenza facendo chiarezza su Renzi e Calenda che appartengono al centro-destra). Per farlo bisognava che i partiti, soprattutto il Pd, si mettessero in gioco. Bisognava fare il contrario di quello che si è fatto, cioè non partire dal candidato sindaco, ma partire dal tavolo dei partiti. Lo scatto doveva iniziare con una assunzione di responsabilità dei partiti e principalmente del Pd: guidare la coalizione, coinvolgere tutte le energie possibili, farsi carico di individuare la persona e le persone che avrebbero dovuto portare avanti questo progetto. Invece il Pd è rimasto prigioniero dei suoi candidati in pectore. Tutto il dibattito sui nomi, mai sulla politica. Non è vero che le primarie sono un bagno di democrazia. Fatte così sono un bagno di ipocrisia (io Pd non sono in grado né di scegliere al mio interno né di trovare un accordo di coalizione quindi mi rivolgo a te elettore, poi continua tutto come prima), la rinuncia ad essere classe dirigente.
La seconda prospettiva del rinnovo del sindaco di Palazzo d’Accursio poteva essere l’occasione per trovare una personalità della cosiddetta società civile, di alto profilo, che riportasse Bologna alla ribalta nazionale. I nomi c’erano, anche di livello. Per la città sarebbe stata una grande occasione di rilancio dopo gli anni (tanti) di lento declino dorato (il tran-tran di cui si diceva). Ci voleva un partito che, con credibilità, generosità e lungimiranza scommettesse su questa soluzione. E’ chiaro che chiamare un personaggio non di apparato presuppone una cessione di potere e la garanzia di non metterlo nel tritacarne dei giochetti di corrente. In passato il tanto vituperato Pci è stato capace di scelte di alto livello. Lo stesso Enrico Letta nel suo discorso di investitura aveva delineato anche questo ruolo per il nuovo Pd. Purtroppo non c’è stato neppure il tentativo di perseguire questa strada.
C’era una terza via, per arrivare al voto di ottobre con un progetto innovativo e la prospettiva di portare a Bologna una ventata di innovazione: candidare una donna. Anche in questo il Pd, sia nazionale che bolognese, non è stato in grado di battere un colpo. Anzi, peggio, si è fatto imporre l’unica donna dall’”odiato” Renzi. Oltre il danno, la beffa. C’erano tutte le condizioni favorevoli. Letta appena insediato aveva appena posto con forza il tema delle donne (dopo le furiose polemiche sulla formazione del Governo Draghi). Tra tutte le città che andavano al voto non c’era una candidata donna. A Bologna il Pd era incapace di scegliere tra i diversi galletti del pollaio. A Bologna c’erano ( ci sono) figure femminile sulle quali si poteva tranquillamente scommettere (sia dentro il partito, che nel centrosinistra). Letta non ha colto la palla al balzo. Il Pd cittadino non è stato in grado di suggerirgli questa soluzione.
Tre scenari svaniti nel nulla: niente laboratorio politico, niente personalità della società civile di profilo nazionale, niente donne. Quindi sarà Conti-Lepore, il duello tra la renziana che fa finta di non esserlo e l’uomo dell’apparato che fa finta di non esserlo.
Il colmo sarebbe che queste primarie di sorrisi e veleni si concludessero con una sindaca e un vicesindaco. O viceversa con un sindaco e una vicesindaca. Un vero sberleffo agli elettori e alla buona politica sarebbe che i due contendenti, che hanno detto di perseguire prospettive politiche così diverse, alla fine si ritrovassero in giunta insieme per continuare la battaglia sotto altre bandiere. Anche se Prodi, nume tutelare di tutti i centrosinistra del mondo, pensa che questo sia lo sbocco naturale, credo che non sia salutare per la credibilità della politica e per la città. Un accordo post-primarie tra Conti e Lepore sarebbe comprensibilmente vissuto dai bolognesi come l’ennesimo giochetto delle parti, l’ennesima beffa per l’elettore delle primarie chiamato a votare perché nulla cambi.
A meno che, come ci suggerisce scherzando un caro amico, non si vada tutti in ginocchio da Gianni Morandi a chiedergli di fare il sindaco di Bologna. Non è donna (anche se le donne le ha cantate divinamente), ma è sicuramente di sinistra, è popolare e di certo ridarebbe a Bologna un posto sul grande palcoscenico.
(Mauro Alberto Mori)