La guerra al Covid-19 non è conclusa ma adesso che abbiamo i vaccini il suo corso sembra segnato (immunità di gregge o meno) anche se ancora ci sarà da “battagliare” con le varianti, focolai infettivi di Sars-Cov-2 stanno infatti (ri) spaventando mezza Europa dagli studenti vacanzieri di Maiorca ai preoccupati tifosi che seguono l’europeo “itinerante” del pallone, il nervosismo sta crescendo ma a differenza di un anno fa dove il “liberi tutti” provocò la seconda e terza ondata, oggi l’ottimismo (sanitario) sta prevalendo.
La decrescita economica e il prolungato stand-bye sociale dovute alla pandemia hanno prodotto un pronunciato rallentamento in ambito generale che di contro ha però permesso l’evolvere di una cultura della “stabilità” in un mondo che causa pandemia ha prodotto, sprecato e inquinato poco o nulla e che è stato costretto in questi due anni a “correre di meno”, a vantaggio del tempo da dedicare alle relazioni sociali e al rispetto per l’ambiente.
La rivoluzione epocale che si sta affacciando rischia però di vederci impreparati a percorrerla nel verso giusto, come sono stati troppi gli entusiasmi per lo smart working che annulla le distanze senza considerare i rischi di abusi che questo può commettere nella vita privata, anche d’altronde la “santificazione” del termine sostenibilità è sembrata a volte fuori luogo soprattutto dove qualsiasi prodotto o bene la deve per forza esibire, dalla polizza di assicurazione che difende il pianeta al tonno in scatola che salva il mare; esagerazioni mediatiche anche le “collaborazioni” per impattare di meno, da quella senza criterio sulla circolazione delle auto elettriche orfane di una efficiente rete di “colonnine” a quella delle borracce in Tritan (polimero al 100% riciclabile) distribuite a pioggia con l’idea di creare avveniristici ambienti plastic-free senza coinvolgere al progetto la grande distribuzione.
Già da qualche anno sotto i riflettori è anche il commercio soprattutto quello di prossimità, locale o di quartiere dove l’attenzione alla qualità dei servizi sposa la cura del territorio, cosa che sta soddisfacendo le esigenze di carattere sociale che nascono nelle nostre comunità, dove l’impegno di strumenti di ascolto (incontri, questionari, interviste, ecc.) sta ricucendo tante delle estraneità della vita delle persone sui temi più disparati, dall’economia che deve interrogarsi sull’ambiente, alla cultura che deve favorire l’inclusione, essere solidale e sostenere i diritti delle persone; infine le amministrazioni locali che sono affannosamente al lavoro sul territorio in cerca di consenso (anche elettorale) e che si vedono obbligate ad adottare strumenti straordinari a sostegno del reddito dei cittadini con adeguate protezioni sociali, posporre tasse, contributi sociali e individuare agevolazioni fiscali per attutire gli effetti della crisi per consentire il pagamento di mutui o prestiti.
Ma non sarà possibile far ripartire la crescita italiana senza la “centralità” dell’industria nazionale più importante ovvero quella del turismo perché è solo questo l’unico motore di sviluppo sociale, economico e finanziario che abbiamo (da sempre); senza il turismo (anche di quello culturale) si ferma quasi tutto, alberghi, ristoranti, aeronautica, automotive, nautica cantieristica e da crociera, edilizia (e con questa la siderurgia), elettronica, ecc.
Un patrimonio straordinario di mare e monti quello italiano unico al mondo, dove in 45 minuti si può fare il bagno e in 45 minuti sciare, fatto anche di piccoli borghi e di tanti tesori nascosti nei paesini sconosciuti ai più che proprio grazie al turismo hanno avuto visibilità e la giusta valorizzazione grazie ad azioni di avvicinamento tra diverse anime (culturali, sportive, ecc.) e dove insieme alla tutela dei servizi come scuole e collegamenti si promuove la convivenza e i diritti di tutti, attitudini uniche queste che abbiamo noi italiani a far partecipe anche ad “altri” il nostro futuro che sono sempre piaciute e che, visti i tempi, piaceranno sempre di più.
L’opportunità di rilanciare l’economia italiana del post-pandemia si chiama “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (Pnrr) o Recovery Plan che il governo Draghi ha messo a punto col plauso dell’Europa, ciò però rischia di non risolvere i nostri problemi di occupazione e produttività se, come successo finora, gli investimenti finiranno unicamente a finanziare le filiere localizzate non in Italia favorendo a nostro discapito il Pil di altri partner europei.
(Giuseppe Vassura)